lunedì 6 novembre 2017

Mazzolari e gli altri. Una storia da riscoprire




Quanto ha inciso e continua a formare la coscienza di tanti cristiani e non, l’insegnamento esigente e appassionato del prete di Bozzolo? Per cercare di rispondere a queste domande e far conoscere la complessità e la ricchezza attuale della testimonianza di Mazzolari ho intervistato per CN Extra lo scrittore Anselmo Palini,autorevole e sudioso di Mazzolari.

Le notizie essenziali ci dicono che don Primo è stato un sacerdote cattolico italiano, nato a Boschetto, Mantova, nel 1890 e morto a Cremona nel 1959. Cappellano degli alpini e decorato nella prima guerra mondiale, parroco a Cicognara (1920-32), poi a Bozzolo. Maestro di antifascismo, è conosciuto come testimone osteggiato della "chiesa dei poveri". La densità del suo insegnamento si è riversata in numerose pubblicazioni, inclusa la rivista Adesso che fondò nel 1948, ricevendo successivamente dai superiori la proibizione a collaborare. Tra i suoi scritti più noti: Il compagno Cristo (1946); La parola che non passa (1953); Tu non uccidere (1955) Della tolleranza (1959); La chiesa, il fascismo e la guerra (raccolta postuma di inediti, 1966).


Quale clima sociale e culturale respirava Mazzolari quando aderì alla Lega Democratica? Come si pose rispetto alla prima guerra mondiale?


Don Primo Mazzolari segue con un certo interesse il dibattito fra interventisti e neutralisti in Italia alla vigilia della prima guerra mondiale. Conosce Eligio Cacciaguerra, animatore della rivista “L’Azione” di Cesena e tra i fondatori della Lega Democratica Nazionale, che sostiene l’idea di un partito autonomo dei cattolici italiani. Mazzolari collabora con la rivista di Cacciaguerra, per la quale scrive diversi articoli riguardanti il rinnovamento ecclesiale. Allo scoppio del conflitto, Cacciaguerra assume una posizione interventista, molto lontana però dal nazionalismo proposto soprattutto dalle forze conservatrici. Don Mazzolari condivide la posizione del suo amico cesenate. In un lungo articolo intitolato Apostolato civile del clero italiano[1], scrive che «la patria è di tutti e ha bisogno di tutti». Se in nome dell’amore cristiano la guerra va condannata, essa tuttavia va promossa e sostenuta in nome della giustizia. Per il giovane e idealista don Mazzolari, la guerra può spazzare via tutte le ingiustizie e aprire la strada per la costruzione di una nuova civiltà. Una posizione giovanile,  radicalmente diversa da quella che sosterrà in Tu non uccidere. Scrive il giovane sacerdote cremonese:



Bisogna saper parlare della nostra guerra senza che ci perda la nostra dignità e la santità della nostra dottrina. L’Evangelo, che come carità condanna la guerra, come giustizia condanna l’ingiustizia. Tra questi due termini, che non sono antitetici, ogni anima di buon senso che sente come l’Ideale rispetto agli uomini non sia una realtà statica che s’impone, ma una conquista che l’avvicina grado grado, può trovare non una scappatoia logica, ma l’equilibrio morale per intendere l’Evangelo e la storia, per illuminare questa in quello. Così non c’è pericolo di essere confusi tra i guerraioli purché la nostra parola sia senz’odio come a cristiani si conviene, senza enfasi e retorica come è di ogni rivestimento della verità. Così adoperandoci, lavoreremo per la patria e per la Chiesa[2].



I cattolici sono chiamati a cooperare per il bene della patria, senza chiusure e rifiuti ideologici,  e talvolta è necessario trovare una sorta di compromesso e mediazione tra l’ideale evangelico e la concretezza storica, con l’obiettivo di migliorare la condizione umana. La partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale viene considerata da don Mazzolari secondo quest’ottica di mediazione storica inevitabile, al fine di combattere l’ingiustizia e per realizzare in Europa una pace duratura. Contro la prepotenza militare dei nazionalismi dell’Europa centrale, non resta, per don Mazzolari, che accettare il male della guerra. La posizione interventista viene vista come l’unico modo per garantire all’Italia il prestigio che l’imperialismo di Austria e Germania intende invece ostacolare.



Come sono stati i suoi rapporti con il fondatore delle leghe bianche, Guido Miglioli? Come arriva il sacerdote a collegare il rapporto tra pace e giustizia sociale che faceva parte dell'orizzonte del sindacalista cremonese?


I primi anni del Novecento sono un periodo di grandi trasformazioni sociali: nelle campagne cremonesi iniziano a diffondersi le idee socialiste, mentre nel contempo stanno nascendo anche le leghe bianche di Guido Miglioli (1879-1954). Di famiglia contadina di Pozzaglio (Cremona), laureato in legge, Miglioli si interessò presto dei problemi dei piccoli proprietari agricoli e dei braccianti, organizzando i sindacati dei contadini cattolici, le “Leghe bianche”. Venne eletto deputato alle elezioni del 1913. Fondò a Cremona il quotidiano “L’Azione”. Nel 1919 aderì al Partito Popolare di don Sturzo e nello stesso anno fu nuovamente eletto in Parlamento. Nel primo dopoguerra si batté contro i grandi proprietari terrieri, difendendo i diritti dei piccoli proprietari e dei contadini. Venne ben presto preso di mira dai fascisti, ma nel 1924 fu espulso anche dal Partito Popolare che non ne condivideva gli avanzati programmi sociali e le proposte di collaborazione con i partiti di sinistra. Nel 1926 abbandonò l’Italia e si stabilì prima in Svizzera, poi in Francia. Soggiornò anche in Unione Sovietica. Nel 1941 fu arrestato in Francia dai tedeschi, che lo consegnarono alla polizia italiana. Condannato al confino, nel 1944 fu nuovamente arrestato dai fascisti legati a Roberto Farinacci e tenuto in ostaggio fino alla Liberazione. Nel dopoguerra continuò ad occuparsi di politica, avvicinandosi al Partito Comunista Italiano, e di problemi sindacali. È sepolto nel cimitero di Soresina.

Un serrato confronto ha visto contrapporsi Guido Miglioli e don Primo Mazzolari. Miglioli aveva espresso compiutamente il proprio punto di vista nel libro Con Roma e con Mosca e in alcuni articoli pubblicati sul quotidiano comunista milanese “Milano Sera”: Civiltà cristiana e rivoluzione d’Ottobre (“Milano-sera”, 7 novembre 1946); Il dramma del momento (“Milano-sera”, 9 dicembre 1946); Il dilemma di tutti noi (“Milano-sera”, 7 gennaio 1947); Siamo davanti a un mondo sconosciuto (“Milano-sera”, 29 gennaio 1947). Per Miglioli, nella rivoluzione comunista il cristianesimo può vedere realizzate appieno le proprie aspirazioni alla giustizia sociale. Don Mazzolari aveva risposto con tre articoli apparsi su “Democrazia”, settimanale della DC lombarda: Lettera a Miglioli, “Democrazia”, 24 novembre 1946; Il grande dramma del cristiano d’oggi, “Democrazia”, 22 dicembre 1946; Il cristiano fa la rivoluzione cristiana, “Democrazia”, 19 gennaio 1947. Tutti questi interventi di Miglioli e di Mazzolari sono stati pubblicati nel libro Con Cristo (La Locusta, Vicenza 1965) e riproposti in P. Mazzolari, Il coraggio del confronto e del dialogo (a cura di P. Piazza, Dehoniane, Bologna 1979, pp. 83-138).   

Per Mazzolari il cristiano non ha bisogno per fare la rivoluzione di attingere dal comunismo, è sufficiente il vangelo. Tra i due, dunque, vi era un acceso confronto, ma sempre nel rispetto e nella stima reciproca. Prova ne è il fatto che nel primo anniversario della scomparsa di Miglioli, venne chiamato a Soresina per commemorarlo don Mazzolari, che gli era stato sempre umanamente vicino[3].

La concreta vicinanza al mondo contadino, ha fatto ben presto capire a don Primo le condizioni difficili, spesso di sfruttamento, in cui vivevano i braccianti e i salariati agricoli. Questo però non ha portato il giovane sacerdote cremonese sulle posizioni del sindacalismo socialista, ma lo ha costretto ad approfondire i temi della giustizia sociale, portandolo in seguito a prendere precise posizioni pubbliche.


Cosa rappresenta il "Tu non uccidere" di Mazzolari? È  la vera incrinatura al concetto di guerra giusta? Che effetto ha avuto concretamente se poi anche guerre non giustificate e contrastate dai papi, come quella in Iraq, non hanno comportato la disobbedienza di massa o almeno significativa dei cattolici? Resta sempre prevalente l'obbedienza all'autorità legittima? 


La storia per don Mazzolari è stata veramente “maestra di vita”: dopo aver conosciuto direttamente come cappellano militare il primo conflitto mondiale con tutte le sue immani atrocità, dopo aver percorso gli anni della devastante seconda guerra mondiale,  il parroco di Bozzolo non  ritiene più concepibile che un conflitto possa essere eticamente accettabile o giustificato. Da qui la declinazione di un nuovo vocabolario per la parola pace. Tu non uccidere è così il frutto dell’esperienza di una vita, la conseguenza di un’attività pastorale attenta a leggere la realtà e protesa a individuare nuove strade da percorrere. Tutta questa nuova riflessione affonda le sue radici nel  Vangelo, un testo che per don Mazzolari è da prendere alla lettera, senza aggiunte.

Di fronte alla guerra il cristiano è un uomo di pace, non un  uomo in pace. Per don Mazzolari la guerra è sperpero di risorse, di beni, di vite umane. Di fronte ad una tale situazione il credente non può tacere o muoversi lentamente. Inoltre, chi ritiene in coscienza che ogni guerra sia un peccato, ha il dovere di agire di conseguenza e dunque di non collaborare in alcun modo con tutto ciò che ha a che fare con la guerra. Anche se la Chiesa e la teologia ancora non lo affermano, don Mazzolari ritiene che vi sia in tali casi il dovere all’obiezione di coscienza nei confronti della guerra intesa sempre come peccato .

La dottrina tradizionale basata sulla guerra giusta per don Mazzolari non regge più. Le condizioni storiche sono cambiate e la Chiesa ne deve prendere atto e rivedere le proprie posizioni. Se la guerra aggressiva è ormai insostenibile anche per la Chiesa, pure quella difensiva, alla quale si riferisce la teoria della guerra giusta, è moralmente inaccettabile, poiché nella realtà odierna spesso non è possibile, data la complessità della situazione, stabilire chi è l’aggredito e chi è l’aggressore. Da secoli tutti affermano di fare la guerra per difendere il bene e la giustizia. In realtà la guerra serve a salvaguardare precisi interessi.

Don Mazzolari affronta anche il problema della resistenza all’oppressore: è lecito opporsi con la forza e con la violenza?  La sua posizione è chiara: si tratta di trovare un’altra strada per opporsi al male e per resistere; si tratta di rifiutare un atteggiamento passivo e di fuga dalle proprie responsabilità attuando una forma di opposizione che si basa su mezzi diversi dall’uso della forza e dalle armi.



Scrive don Mazzolari:

«C’è chi trova legittimo e doveroso opporre forza a forza: ora noi, in considerazione della sincerità che crediamo di riscontrare anche nella nostra coscienza e nella nostra esperienza, domandiamo semplicemente se non possiamo sostituire alla resistenza della forza la resistenza dello spirito, senza venir meno con questo all’impegno della resistenza. […]. Non si rinuncia a resistere, si sceglie un altro modo di resistere, che può parere estremamente folle, qualora si dimentichi o non si tenga abbastanza conto dell’orrendo costo della guerra, la quale non garantisce neppure la difesa di ciò che vogliamo con essa difendere».



La resistenza che don Mazzolari propone è quella nonviolenta, che si situa idealmente sulla scia degli insegnamenti di Gandhi e di Martin Luther King. Solamente la nonviolenza può abbattere le divisioni e le inimicizie; la guerra e la violenza invece moltiplicano i problemi ed i contrasti, diffondono odio e desiderio di vendetta. Don Mazzolari precisa chiaramente poi il significato del termine nonviolenza. Scrive il parroco di Bozzolo in Tu non uccidere:



«La nonviolenza non va confusa con la non resistenza. La nonviolenza è come dire: no alla violenza. È un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva. La pigrizia, l’indifferenza, la neutralità non trovano posto nella nonviolenza, non dicono né sì né no. La nonviolenza si manifesta nell’impegnarsi a fondo. La nonviolenza può dire con Gesù: «Non sono venuto a portare la pace, ma la spada». Ogni violento presume di essere un coraggioso, ma la maggior parte dei violenti sono dei vili. Il nonviolento, invece, nel suo rifiuto a difendersi è sempre un coraggioso. Lo scaltro che adula il tiranno per trarne profitto e protezione, o per tendergli una trappola, non rifiuta la violenza bensì gioca con essa al più furbo. La scaltrezza è violenza doppiata di vigliaccheria ed imbottita di tradimento. La nonviolenza è al polo opposto della scaltrezza: è un atto di fiducia nell’uomo e di fede in Dio; è una testimonianza resa alla verità fino alla conversione del nemico».   



Vi è poi la condanna chiara e netta della corsa agli armamenti, definita «una follia: le armi si fabbricano per spararle. L’arte della guerra si insegna per uccidere». Da tempo, denuncia don Mazzolari, si tengono congressi e riunioni per ridurre gli armamenti, ma intanto si inventano sempre nuovi micidiali ordigni. Se si condanna la guerra senza alcun tipo di eccezione, allora è possibile iniziare a ridurre gli armamenti; se invece si ammette che in alcuni casi la guerra è giusta, allora anche gli armamenti sono ammessi.



Con papa Francesco la Chiesa ha espresso parole chiare e nette contro la guerra e contro la logica degli armamenti. Ma anche con Giovanni Paolo II ciò era avvenuto ad esempio in occasione della guerra in Iraq. Ma questo non ha posto problemi ai credenti presenti nelle forze armate. Speriamo che la situazione cambi.

Il primo passo è da fare è quello di superare condizioni assolutamente incompatibili con un messaggio di pace, come quelle dei cappellani militari, persone inserite nella struttura militare e spesso con anche i gradi di ufficiali. E’ possibile assicurare l’assistenza a quanti sono sotto le armi senza entrare in tale struttura in modo organico.

Un altro passo andrebbe fatto: affermare chiaramente che il credente non può avere nulla a che fare con le armi di distruzione di massa e dunque, per fare un esempio, non potrebbe svolgere compiti militari in quella strutture, come nella base di Ghedi (BS), dove vi sono bombe atomiche.

E infine, tornando al cristianesimo delle origini, cominciare a riflettere sul fatto che con il comandamento dell’amore non va d’accordo l’impugnare le armi, come Mazzolari ben insegna in Tu non uccidere. Sarebbe questa una posizione di grande profezia.

Che rapporto ideale c'è stato, di fatto, tra Mazzolari e Milani?

Sono note sette lettere di don Primo a don Milani e cinque del parroco di Barbiana a quello di Bozzolo. Testimoniano un contatto sporadico ma non casuale. Diversi per età, estrazione sociale, cultura, percorso ecclesiastico, Mazzolari e Milani sono tuttavia accomunati da alcune opzioni fondamentali: l’assunzione radicale del messaggio evangelico nella propria esperienza pastorale e personale; la chiara percezione dell’urgenza di un’azione volta ad incarnare nella storia il messaggio cristiano, rifuggendo da visioni astratte e spiritualistiche; la volontà di offrire la parola ai poveri”, declinata come esigenza di giustizia; la forte critica alle posizioni ecclesiali e politiche sorde al richiamo degli ultimi; la necessità di declinare la parola pare in un modo nuovo e profetico[4].



Come è stato possibile, senza internet, l'influenza di un parroco di campagna limitato ad esprimersi sulla cultura cattolica del tempo? 


Proprio qui sta la grandezza  non solo di Mazzolari, ma anche di don Milani, come ha messo ben in luce papa Francesco nel corso della visita a Bozzolo e Barbiana lo scorso 20 giugno. Da anonime canoniche, dalle periferie, sono uscite indicazioni che oggi la Chiesa indica come percorsi da seguire. Queste indicazioni, a lungo osteggiate dai vertici ecclesiastici, per molte realtà del mondo cattolico già da diverso tempo erano dei riferimenti imprescindibili. Anche in assenza di internet, e per di più in presenza delle condanne del Sant’Uffizio, il messaggio di Mazzolari, ma anche quello di don Milani, hanno saputo rispondere alle richieste di molti cattolici in merito al senso della loro presenza dentro le vicende storiche.


C’è un legame tra Mazzolari e l'ultimo grido di Romero rivolto ai soldati chiedendo la loro disobbedienza?



Il legame è molto chiaro: Mazzolari in Tu non uccidere ha affermato a chiare lettere che un credente deve prendere il quinto comandamento come un imperativo categorico, e dunque deve lasciare cadere le armi dalle proprie mani. Questo invito il 23 marzo 1980 nel corso di un’omelia il vescovo di San Salvador, mons. Oscar Romero, l’ha rivolto ai soldati, responsabili di una feroce repressione contro il popolo. In particolare ha chiesto loro di rifiutarsi di obbedire agli ordini di sparare sui campesinos disarmati e su quanti non facevano altro che reclamare pace e giustizia. Il giorno dopo Oscar Romero verrà assassinato[5].




*Per approfondire la figura di don Mazzolarii: Primo Mazzolari. Un uomo libero, editrice Ave, Roma 2010, con postfazione di mons. Loris Vincenzo Capovilla; Sui sentieri della profezia. I rapporti fra Giovanni Battista Montini-Paolo VI e Primo Mazzolari, ed. Messaggero, Padova 2012, con prefazione di don Bruno Bignami, presidente della Fondazione Mazzolari di Bozzolo.
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[1] Si veda: P. Mazzolari, Diario I, (1905-1915), nuova edizione a cura di A. Bergamaschi, Dehoniane, Bologna 1997, pp. 718-722.

[2] P. Mazzolari, Diario I, cit., pp. 721-722.

[3]  Su Guido Miglioli si vedano: M. Felizietti, Guido Miglioli testimone di pace, Agrilavoro, Roma 1999 e F. Lenori (a cura di), La figura e l’opera di Guido Miglioli, Quaderni del Centro Documentazione Cattolici Democratici, Roma 1982.


[4] Sul rapporto fra Milani e Mazzolari si veda l’articolo di Mariangela Maravaglia, pubblicato su “Impegno”, semestrale della Fondazione Mazzolari di Bozzolo, n. 1, aprile 2017.


[5] Sulla vicenda di Oscar Romero rimando ai miei libri: Oscar Romero. “Ho udito il grido del mio popolo”, editrice Ave, Roma 2012; Una terra bagnata dal sangue. Oscar Romero e i martiri di El Salvador, Paoline, Milano 2017.




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