mercoledì 1 dicembre 2021

Francia Italia e tante rimozioni

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Il trattato di cooperazione bilaterale rafforzata tra Italia e Francia è stato siglato in maniera solenne nel palazzo del Quirinale, a Roma, nella mattinata di venerdì 26 novembre 2021. È un successo per la linea politica incarnata da Mattarella e Draghi e che gli esperti diplomatici possono evidenziare nei diversi aspetti contenuti nel testo articolato in 12 punti, preceduti da una premessa e accompagnato da un programma di lavoro comune di 19 pagine. Documenti integralmente scaricabili dal sito di Palazzo Chigi.

Come osserva, in un dossier della Luiss, Jean-Pierre Darnis, professore di Storia contemporanea presso quella università di Confindustria e l’Université Côte d’Azur di Nizza, appare evidente che «dagli anni 2000 in poi, si siano moltiplicate le incomprensioni fra Roma e Parigi, sia nell’ambito di alcune iniziative di politica estera che di importanti partite economiche», tanto che molti in Italia hanno «un’ idea della Francia vista come una potenza esageratamente machiavellica e quasi infallibile nel perseguire i propri interessi al di fuori dei confini». Ma ora, a parere di Darnis che è consigliere scientifico dell’Istituto di affari internazionali fondato da Altiero Spinelli, la fase del complottismo sembra superata dal fatto che a partire «dalla collaborazione scientifica e tecnologica fino al settore del lusso, passando per lo spazio oppure il settore bancario, assistiamo da tempo a una intensa e rapida integrazione delle catene di valore fra i due Stati, con notevoli effetti di crescita frutto della complementarità dei tessuti economici e sociali, oltre che della vicinanza culturale».

Oltre alle immagini ad effetto delle rispettive frecce tricolori in volo sul cielo di Roma e all’annuncio di un promettente programma Erasmus rivolto ai giovani dei due Paesi, esistono alcune questioni rilevanti che suscitano un particolare interesse. Ad esempio Antonio Villafranca, direttore della Ricerca dell’Ispi, si domanda se, ad esempio, la Francia condividerà con Italia e la Germania, con la quale esiste il trattato dell’Eliseo, il seggio che occupa in maniera permanente nel consiglio di sicurezza dell’Onu. Così come resta da capire la strategia seguita da Parigi che resta, dopo la Brexit, l’unico Paese dell’Ue a detenere l’arma nucleare.

Se, come ha detto Draghi, «questo Trattato aiuta la costruzione della difesa europea che naturalmente è complementare alla Nato e non sostitutiva», nel testo siglato è messo in chiaro che esiste l’impegno a sviluppare la cooperazione e la sinergia operativa nel campo difesa «ogni qual volta coincidano gli interessi strategici delle due parti». Come a dire che la mancanza di un comune interesse strategico può compromettere l’intenzione di «rafforzare la cooperazione tra le rispettive industrie di difesa e di sicurezza, promuovendo delle alleanze strutturali. In particolare l’attuazione di progetti comuni, bilaterali o plurilaterali, in connessione con la costituzione di partnership industriali in specifici settori militari».

Prima di recarsi a Roma, Macron è andato in Croazia per assicurare 12 caccia bombardieri Rafale a questo Paese che vigila i confini dell’Ue anche con respingimenti violenti dei migranti provenienti dalla rotta balcanica. L’industria statale francese porta avanti allo stesso tempo il progetto degli aerei di combattimento di sesta generazione Fcas assieme a Germania e Spagna, mentre l’Italia, tramite Leonardo, oltre alla commessa F35 con la Lockheed Martin, è impegnata nel programma dei caccia Tempest che condivide con la Gran Bretagna. Una iper offerta di armi che deve poi cercare i possibili acquirenti sul mercato per poter rientrare dei notevoli investimenti finanziari richiesti per produrre tali sofisticati strumenti bellici.

E, come affermano apertamente gli esperti del settore, a cominciare dai vertici dell’Associazione delle imprese del settore difesa e spazio, è nota la concorrenza diretta che esiste tra Italia e Francia. Lo testimonia il caso delle due fregate Fremm prodotte da Fincantieri per la  Marina militare italiana ma dirottate verso quella egiziana per poter battere sul tempo i rivali francesi.

Sono in gioco in questo caso altre e più importanti forniture militari richieste dal governo del generale Al Sisi che è stato ricevuto con ceromonia solenne all’Eliseo nel dicembre del 2020 per ricevere la Legion d’onore il massimo riconoscimento della Repubblica francese. In quella occasione Macron, come ha messo in evidenza l’Ispi, è stato perentorio nell’affermare che «quella tra Egitto e Francia è una “partnership strategica” essenziale “alla stabilità regionale” e come tale “non sarà condizionata nei settori della difesa o dell’economia, dai disaccordi in materia di diritti umani”».

Una dichiarazione di realpolitik che secondo Ugo Tramballi de Il Sole 24 ore dimostra «l’umiliazione etica e politica dell’Europa verso l’autocrate egiziano. Se si arrende così un Paese importante, che pretende di essere una guida della Ue, con quale coerenza potremo criticare il populismo illiberale di Ungheria e Polonia?».

La firma del Trattato imporrebbe perciò, almeno a livello della società civile, visto che la ratifica del Parlamento è un atto formale, di affrontare questo dilemma sui valori condivisi tra Italia e Francia e della stessa Unione europea. Un confronto che non può che fare luce su quanto avvenuto nel guerra in Libia del 2011, quando l’Italia fu costretta a subire la strategia della Francia di Sarkozy all’origine del caos attuale in quell’area del Nord Africa che si trova alle nostre porte.

La chiarezza necessaria sui valori condivisi non è affatto teorica se è vero, come fa notare Gianni Dragoni su Il Sole 24 ore, che «l’industria italiana della difesa e aerospazio è nel mirino di Francia e Germania. Con il Trattato del Quirinale la marcia di avvicinamento dei transalpini ai gioielli italiani del settore viene accelerata». Questioni che chiamano in causa le scelte del governo Draghi che esercita il controllo su Leonardo e Fincantieri e ha appena definito il piano strategico 2022-2024 di Cassa Depositi e Prestiti (CdP), il nostro “fondo sovrano” che permette di operare politiche industriali dirette da parte dello Stato. Nel trattato ital- francese è prevista, infatti, una forte cooperazione non solo tra le rispettive organizzazioni industriali private ma anche tra CdP e la corrispondente Caisse des Dépots di Parigi.

Sono tanti i dossier comuni che legano i due Paesi se solo si pensa a Stellantis, società automobilistica nata dalla fusione tra Psa e Fca, dove è presente il capitale pubblico francese ma non quello italiano, alla partita sul nucleare civile che la Francia intende promuovere tra le fonti rinnovabili della transizione ecologica europea. Ma è il settore strategico dell’industria della Difesa a costituire il nodo che mette in evidenza il fondamento e la durata di questa alleanza che altrimenti, come nota l’esperto di politica estera Alberto Negri, è solo «un favore che facciamo a Macron in corsa per le presidenziali» del prossimo aprile 2022.

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