lunedì 26 agosto 2019

Un discorso difficile nella tempesta






Sono tra quelli che ritengono necessaria una sobria nota ufficiale di condanna da parte della Cei, da diffondere in maniera capillare, per fare chiarezza sull’uso improprio, strumentale e blasfemo di simboli cristiani da parte del leader della Lega. Ovviamente distinguendo il giudizio pubblico dal mistero insondabile della coscienza di ognuno, compreso Salvini.
Mi rendo conto che potrebbe sembrare una reazione che finisce per dare troppa importanza ad una postura trash, che merita di restare ignorata, ma esiste un vasto mondo che non riesce a compiere questo discernimento. Anzi l’uso pubblico di una devozione, finora rimossa e denigrata dalla vulgata laicista, finisce per essere apprezzata da un certo mondo che non fa troppe distinzioni.
Per questo è necessaria, a mio parere, una presa di posizione semplice e comprensibile da tutti, in modo che, ad esempio, non si possa confondere ogni riferimento a Maria con l’idolatria di una divinità guerriera che preferisce abbandonare i migranti in mare per difendere i sacri confini della patria.
Sui social il direttore della Civiltà cattolica, Antonio Spadaro, continua a pubblicare immagini storiche che testimoniano da sempre il legame tra popolo cristiano con Colei che soccorre i naufraghi ed è appellata come “porto sicuro”, portatrice di uno sguardo benedicente e accogliente. 

Ma il colto gesuita è anche consapevole dell’immaginario collettivo ormai riempito da altre icone, come le ossessive trasmissioni televisive del gran patron Berlusconi. Si pensa di parlare a tutti e, invece, bisogna fare i conti con persone che hanno ore di formazione a tappeto di altro genere, come quando si scopre nei tanto venerati e rari giovani i germi della banalità che produce indifferenza. In fondo resta sempre valido il criterio pubblicitario che invita a tener presente di parlare, in gran parte, con soggetti intrappolati nelle dinamiche incerte e contraddittorie di un undicenne.

Ad ostacolare una presa di posizione netta e semplice sembra pesare l’orientamento di certa parte del clero che appare del tutto refrattaria alla radicalità evangelica testimoniata da papa Francesco. Niente di nuovo sotto il sole se solo si ricordano, 100 anni fa, le obiezioni pubbliche di noti teologici e vescovi al messaggio di Benedetto XV che condannava il mattatoio della grande strage del primo conflitto mondiale.  E certe tesi che portano a benedire e giustificare la guerra non sono affatto estirpate all’interno della Chiesa. Anzi.



Eppure bisogna riconoscere che nel suo apparire originario, confuso e scomposto, in lande superficialmente democristiane, la Lega riusciva ad esprimere improbabili riferimenti a mitologie del paganesimo celtico, assieme a ben più significative correnti carsiche di storie sommerse come la resistenza vandeana alla violenza anticristiana della Rivoluzione francese. La croce sul cuore esibita dalla Irene Pivetti prima versione, giovanissima presidente della Camera, rimandava, infatti, alle pagine omesse della ribellione della cattolica regione della Vandea contro un regime nato nel segno della famosa triarchia (libertà, uguaglianza, fraternità) per involvere verso il terrore. Un vero e proprio massacro sistematico ignorato nei nostri libri di storia, anche se a denuncialo tra i primi  è stato il sincero rivoluzionario egalitario Babeuf (“La guerra della Vandea e il sistema di spopolamento”).

Il sommovimento mondiale successivo al crollo del sistema sovietico nel 1989, con la presunta fine della storia per vittoria ineluttabile del capitalismo, così come il collasso per via giudiziaria della prima repubblica nel 1992 in Italia, hanno prodotto un rimescolamento globale e la riemersione di tanti nodi irrisolti, come, ad esempio, la traccia profonda del regime mussoliniano esorcizzato da un antifascismo niente affatto maggioritario, se non in certe aree del Paese.

Rientra tra le questioni non risolte l’incapacità di buona parte dei cattolici italiani di esprimersi in maniera coerente a favore della persona in tutti gli aspetti dell’esistenza.  Dalla giustizia sociale alla difesa della vita da ogni aggressione. Bisogna riconoscere che per convenzione implicita, preti e personaggi di frontiera, testimoni dell’impegno a favore dei poveri e degli  esclusi o contro la piaga delle mafie, non prendono posizione su temi come aborto, famiglia ed eutanasia. 

Esiste come una sottile linea rossa che non può essere varcata senza esporsi alle critiche di una intellighenzia cosiddetta laica e di sinistra, pronta ad emettere sentenze di scomunica dall’ecumene del politicamente corretto. E ciò coinvolge anche il mondo ambientalista, che giunge, in alcune sue espressioni, a ossessioni antinataliste.

In effetti, ciò che pare dominare non è più una visione che mira a “trasformare lo stato di cose presenti” o a liberare gli oppressi, ma un tranquillo radicalismo di massa incapace di resistere alle pulsioni nichiliste che si agitano nel profondo di una società relativista e quindi disumana, facile preda dell’idolatria del denaro.

Chi vuole esporsi in una proposta pubblica, sempre parziale e incompleta, assolutamente non confessionale ma con riferimento esplicito ad un personalismo cristiano integrale, ragionevole e laico, non può disertare i temi della vita e della morte, e del dominio della tecnica e del potere su di essi, lasciando che se ne facciano paladini coloro che restano indifferenti alla morte in mare di esseri umani, nostri fratelli e sorelle, che fuggono da miseria e guerre.

Non si tratta affatto di teoria generale. Davanti ad una grave crisi di governo, con la nascita di nuove alleanze o il precipitare verso nuove elezioni, bisogna saper prendere posizione su problematiche imminenti come eutanasia e suicidio assistito, che ha visto la spaccatura nel comitato nazionale di bioetica. 

La strategia coerente dei radicali, osservando come reagiscono i media, sembra vincente nel far leva sui diritti civili con il rischio, implicito e reale, di predisporre un meccanismo di selezione delle cure che diventa micidiale verso i più deboli e indifesi, esposti in prima fila all’aggressione del servizio sanitario pubblico. I libertari sono intrinsecamente ed esplicitamente liberisti.

Ma proprio il comune impegno con i radicali nella campagna “Ero straniero”, a favore della giusta accoglienza degli immigrati, può essere la base di un dialogo aperto e rispettoso fino al dissenso più esplicito sul fine vita. Non certo alla sudditanza e alla censura preventiva.

Ciò che manca oggi, ingrossando le fila dell’astensionismo dei senza partito, è proprio la riconoscibilità di una proposta politica non riducibile ad una sintesi tecnocratica, ma con espliciti riferimenti ad una concezione della centralità della persona, posta a base della Costituzione di una Repubblica continuamente protesa a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica e sociale del Paese”.

Senza questo orizzonte ampio dell’impegno politico, irriducibile ad ogni divinizzazione del potere ma sempre proteso oltre ogni realizzazione possibile, la proposta appare inadeguata e costretta a subire una polarizzazione imposta dall’esterno. Con il rischio evidente di essere catalogati di destra o di sinistra secondo categorie improprie e riduttive. Il cedimento verso questa deriva comporta il costituirsi di alleanze pragmatiche, spesso amorali.

Un esempio evidente è la polemica risalente al 2010 e più che mai attuale tra lo scrittore triestino Claudio Magris e l’allora rettore della pontificia università lateranense, Rino Fisichella, che aveva espresso parole di apprezzamento per la Lega. In una lettera aperta Magris faceva notare che tale atteggiamento «poteva destare sconcerto e scandalo in non pochi fedeli» in quanto «la Lega spesso fomenta un volgare rifiuto razziale, che è la perfetta antitesi dell’amore cristiano del prossimo e del principio paolino secondo il quale “non ha più importanza essere greci o ebrei, circoncisi o no, barbari o selvaggi, schiavi o liberi: ciò che importa è Cristo e la sua presenza in tutti noi(Colossesi,3,11)”». Fisichella, tra l’altro spesso presente nelle scuole di formazione del centro destra, invitava «a prendere atto dell’affermarsi della Lega, della sua presenza più che ventennale in Parlamento, di un radicamento nel territorio» per poi precisare che «quanto ai problemi etici, mi pare che manifesti una piena condivisione con il pensiero della Chiesa». Evidentemente i “problemi etici” sono quelli bioetici, non tutto il resto della morale cristiana. E tali parole cadevano prima della ormai pretesa maggioritaria dell’ex partito del Nord che raggiunge maggioranze impressionanti nel Veneto, fino a sfondare in terre incontaminate come il Trentino per imporsi incredibilmente anche al Sud. 

Il vero problema che emerge mi sembra sia quello di una linea sociale, alternativa alla vulgata liberista, capace di farsi comprendere da tutti concentrandosi su alcuni punti emblematici, alternativi a quelli della paura, con personaggi credibili disposti ad esporsi pubblicamente.

Esistono oggi intellettuali capaci di evocare scenari e fare analisi interessanti ma preferiscono restare nel mondo dei concetti generali, senza calarsi dentro i conflitti e la contraddittorietà delle scelte concrete. E anche se si decidessero a fare questo passo, non sarebbero, d’altra parte, dei grandi trascinatori di consensi elettorali come sapevano bene la Dc e il Pci che collocavano i “professori” in collegi sicuri come “esterni” o “indipendenti”.
 
Ciò che manca, mi pare, è proprio una realtà estesa come quei partiti, popolari ma pieni di difetti, capace di includerli e valorizzarli.  Può costituirsi e crescere un simile soggetto senza un forte trauma che lo generi? Sembra proprio di no sentendo alcuni, convinti che sia meglio far andare al potere la nuova destra costituita dalla Lega con gli eredi più coerenti del fascismo (i Fratelli d’Italia che quella “fiamma” conservano nel simbolo), che, in effetti, componeva, in un “fascio”, istanze tra loro più diverse e contraddittorie. Ma il ragionamento del “tanto peggio tanto meglio” non sembra funzionare bene perché si mettono in moto processi difficili da prevedere e impossibili da governare.

Resta, ad ogni modo, l’esigenza di una rappresentanza di una visione personalista integrale che non può essere costretta dentro uno schema bipartitico senza perdere di riconoscibilità, incidenza e visibilità. Ripercorrere, tuttavia, strade antiche attira nostalgici e opportunisti. L’unico metodo coerente è quella di partire da chi si impegna su questioni reali che obbligano a scegliere per costruire una vera agenda coerente, senza intromissioni esterne clericali, che non può valere per tutti i cattolici, ma, come sempre per alcuni di essi, laicamente aperta ad ogni cultura, confessione e convinzione.  

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