domenica 24 settembre 2023

Dialogo con Mario Primicerio

 


Mario Pimicerio è persona mite e garbata, ma da fiorentino parla senza troppi giri di parole. Non ama il termine pacifismo se non viene declinato con l’aggettivo “politico”, cioè se non si traduce in proposta concreta e c’è da prestargli ascolto perché quest’uomo di scienza, accademico dei Lincei, per decenni professore di Meccanica razionale presso l’università di Firenze, è stato tra le persone più vicine a Giorgio La Pira, per lungo tempo presidente della Fondazione che porta il suo nome.

Per una consiliatura, dal 1995 al 1999, è stato anche sindaco di Firenze, nello stesso Palazzo Vecchio dove La Pira pose per sempre quella città al centro del Mediterraneo e quindi del mondo, nella ricerca di una pace duratura tra i popoli.  

Concetti che rischiano di suonare retorici e velleitari di fronte alla guerra in corso in Ucraina che appare senza via di uscita fino all’esito innominabile del collasso nucleare.

Ma non è, forse, questo il momento di quel crinale apocalittico della storia che segna il nostro tempo secondo il realismo profetico del grande sindaco di Firenze? 

«I teoremi sono due – così scriveva La Pira in una lettera - in un versante c’è la distruzione della Terra e dell’intera famiglia dei popoli, il suicidio planetario. Nell’altro versante c’è la millenaria fioritura della Terra e dell’intera umanità che la abita. Fioritura carica di pace, di civiltà, di fraternità e di bellezza, la fioritura messianica dei mille anni intravista da Isaia, da Ezechiele e da san Giovanni. I popoli di tutta la Terra e le loro guide politiche e culturali sono oggi chiamati a fare questa suprema e irrecusabile scelta. Tertium non datur».

Cerchiamo di capire cosa vuol dire oggi compiere questa “suprema e irrecusabile scelta” secondo il professor Mario Primicerio che fin dal precipitare degli eventi del 24 febbraio 2022, con l’invasione russa del territorio ucraino, è stato tra i promotori di un movimento attivo e numeroso a Firenze (denominatosi “mille contro la guerra”) e ora, davanti allo scenario di un riarmo massiccio, che annuncia uno scontro bellico dalle conseguenze imprevedibili, avverte l’urgenza di lanciare un appello per un’azione comune, in grado cioè di essere condivisa da tutti, qualsiasi sia stata finora la posizione sull’invio di armi in Ucraina. Un invito estremo a fermare la strage.    

Cosa significa concretamente pacifismo politico?

Vuol dire superare l’indeterminatezza di tante manifestazioni della pace per sostenere un obiettivo preciso e puntuale e cioè quella di fermare la strage. Senza condizioni o calcoli di convenienza. Fermare le armi per impedire la morte di migliaia di persone, l’incrudelimento inevitabile del conflitto. Unica premessa per avviare un negoziato tra le parti in causa.

Una posizione che si mette dalla parte della povera gente per dire fermiamo il massacro e poi cominciamo a ragionare. Primum vivere deinde philosophari è il detto latino che La Pira ripeteva spesso.  “L’attesa della povera gente” è il titolo del famoso saggio che pubblicò su cronache sociali indicando un criterio di giudizio e di azione. Cosa attende oggi la povera gente? Una vita tranquilla di pace giusta. Una richiesta che va ascoltata. Ridurre progressivamente l’intensità dei combattimenti non è una posizione di equidistanza tra gli aggrediti ucraini e le truppe di invasione russe. Si tratta di far partire un processo complesso che non sarà breve e semplice.

Cosa ne pensa della proposta di mediazione cinese di cui si discute in questi giorni?

L’iniziativa ha spiazzato tutti perché il governo cinese ha presentato 12 punti che sembrano ricalcare gli stessi principi dell’accordo di Helsinki del 1975 che partiva dall’integrità territoriale e inviolabilità dei confini nazionali. Non credo che sia giusto rifiutare questa proposta liquidandola come propagandistica.

Ma è questa la posizione espressa dagli Usa e dai suoi alleati…

Anche ipotizzando la possibilità di una mossa propagandistica da parte di Pechino, abituato a ragionare nel campo delle scienze esatte non mi sentirei autorizzato ad escludere la tesi a priori, senza averla verificata. In matematica non si può provare un teorema dicendo “speriamo che sia vero” ma allo stesso tempo non si può escludere dicendo “assolutamente non è vero”. Mettiamo la cosa alla prova con un cessate il fuoco che vada per gradi, con il monitoraggio degli esperti. Ma non vedo capacità di apertura.  Anche la mediazione del presidente brasiliano Lula è stata snobbata e mi pare un grave errore.

Come si sta muovendo l’Europa in questa fase?

In maniera lodevole sotto l’aspetto della solidarietà e l’accoglienza verso milioni rifugiati ucraini. In campo umanitario è stata unita ed efficiente mentre si è rivelata assente politicamente. E questo è paradossale perché è proprio l’Europa a rimetterci più di tutti da questo conflitto. I leader dei vari Paesi non hanno trovato una posizione comune ma si sono mossi alla spicciolata. Credo che solo una forte pressione dell’opinione pubblica potrebbe rimediare a tale mancanza spingendo i governi a cambiare atteggiamento per timore di perdere il consenso popolare e quindi elettorale.

È una prospettiva che appare improbabile in Italia dove prevale la linea dettata con rigore da Draghi. Non esiste forse politicamente, con le forze presenti in Parlamento, una solida maggioranza schierata in senso atlantista e quindi favorevole all’ invio delle armi in Ucraina?

Quella di Mario Draghi, tra l’altro una delle persone più autorevoli che abbiamo avuto al governo, è stata la decisione di chi constata l’inconciliabilità delle ragioni di Kiev con quelle di Mosca. Eppure chi vuol far politica non può limitarsi ad osservare l’esistente ma deve tendere a far avvicinare posizioni distanti tra loro.

Conosciamo in questo senso il tentativo che fece Giorgio La Pira nel 1965 quando si recò in Vietnam a parlare con Ho Chi Minh per cercare di fermare la guerra con gli Usa che aveva già fatto milioni di morti. Ad accompagnare La Pira c’era un giovane Primicerio. Che lezione ne possiamo trarre oggi da quella vicenda?

Anche allora eravamo davanti a posizioni inconciliabili inizialmente. Ho Chi Minh si rifiutava di avviare ogni forma di negoziato senza l’evacuazione degli americani dal territorio vietnamita. Si trattava di mezzo milione di soldati, senza contare i continui bombardamenti dall’alto da parte dell’aviazione Usa. La Pira decise di andare in Asia per accertarsi se tale condizione fosse da intendersi come preliminare ad ogni trattativa oppure il punto finale di un processo di negoziato, come poi precisato dal leader nordvietnamita interessato a raggiungere la sovranità nazionale sul proprio territorio.

Sappiamo che le trattative avviate in tal modo con gli Usa, tramite Amintore Fanfani, allora presidente dell’assemblea Onu, furono sabotate dall’intelligence con il risultato di giungere solo dopo altri 8 anni di guerra, e migliaia di morti, a condizioni più sfavorevoli per Washington. Che argomento aveva usato La Pira verso i vietnamiti, cioè i nemici dell’Occidente?

Ho Chi Minh rimase stupito dalla citazione da parte di La Pira del giurista romano Gaio che poneva il cessate il fuoco come precondizione di ogni trattativa: “vim fieri veto”, cioè “proibisco che si prosegua nell’esercizio della violenza”. È lo stesso discorso che vale anche oggi. Senza legittimare la presenza di truppe russe sul territorio ucraino, occorre interrompere ogni violenza. Si tratta di concentrare lo sforzo su questo obiettivo comune che non può non trovare d’accordo tutti coloro che dichiarano di volere la pace e in tal modo convincere anche le forze politiche presenti in Parlamento.

Non sarebbe una mossa a favore della Russia?

Al contrario. Se si vuole davvero stare vicino al popolo ucraino, come dicono tutti, occorre far cessare le armi. E in tal modo, allentando la tensione in Russia, si darebbe più respiro a quella parte della società civile, soprattutto nelle città, che nonostante tutto è critica verso la guerra.

Ogni forma di trattativa, tuttavia, è destinata ad arenarsi dopo l’incriminazione di Putin da parte del TPI che è come una moderna scomunica da parte della comunità internazionale. Come dicono in tanti, anche esponenti dell’area cattolico democratica, non resta altro, sembra, che la continuazione della guerra fino alla pace giusta e cioè fino alla vittoria, con il ritiro dei russi e la sostituzione di Putin a capo del Cremlino. C’è chi come il professor Parsi cita D’Annunzio per dire che bisogna “ardire e non ordire”, essendo pronti a morire e a uccidere. Come risponde in merito?

Dico che bisogna partire dal realismo politico in base al quale sappiamo che nessuna dei contendenti può conseguire la pace vincendo sul nemico, con il rischio di scatenare un conflitto globale. La vittoria della ragione di chi è stato aggredito ingiustamente potrà arrivare da una conferenza internazionale di pace. Oggi “ardire” vuol dire mettere alla prova la proposta di cessare la violenza. Decidere di non provare a farlo è un grave errore politico.

Occorre riconoscere, tuttavia, che chi sta al governo non ha questa libertà di movimento e di decisione perché è determinante la linea dettata dalla Nato. Esiste una qualche presa di posizione di La Pira in merito che può essere illuminante nel momento attuale?

La Pira diceva che le alleanze e gli accordi sono funzionali ad una certa situazione. Ricordiamoci che con la fine dell’Unione Sovietica, la Russia chiese addirittura di aderire alla Nato. È stato un momento in cui poteva rendersi possibile, con il venir meno del blocco ideologico del comunismo sovietico, una diversa forma di relazioni internazionali sostituendo alle alleanze militari un sistema di cooperazione e sicurezza tra gli stati. Una prospettiva avanzata già in piena guerra fredda con il Trattato di Helsinki del 1975 e che ha dato origine all’Ocse, poi arenatesi. Il punto di svolta che tarda ad imporsi è che la sicurezza non si raggiunge contro gli altri ma con gli altri.

È impossibile, tuttavia, tale prospettiva davanti ad una narrazione comune che definisce Putin come nuovo Hitler, con il quale non si può abbassare la guardia. Si usa fare il parallelo con l’accordo di Monaco del 1938 dove le nazioni occidentali permisero l’invasione della Cecoslovacchia alle truppe del dittatore tedesco che poi strariparono nel continente dando inizio al secondo conflitto mondiale. Evocare Hitler porta alla necessità della guerra giusta o comunque giustificata fino alla vittoria con il sacrificio, se necessario, di milioni di persone. In tale contesto ogni accenno alla trattativa viene percepita come cedimento verso l’autocrazia.

Sentendo i discorsi di Putin si arriva ad una narrazione speculare a quella fatta in Occidente, con l’imperialismo economico Usa che ha portato ad espandersi anche militarmente verso l’Est con la Nato, contravvenendo alle promesse di mantenere una zona neutra di confine, rimangiandosi l’impegno assunto in tal senso dopo la riunificazione della Germania. Da parte russa si denuncia una manovra di accerchiamento e strangolamento progressivo da parte occidentale. Non vedo una via di uscita se cediamo alla logica delle narrazioni contrapposte. Non difendo Putin ma inviterei a fornire le prove concrete, prima di affermare che vuole espandersi per conquistare l’Europa. Non c’è dubbio invece sul fatto che l’aggressione di Putin alla sovranità dell’Ucraina sia un crimine, una grave di violazione della legge internazionale che regola i rapporti tra gli stati. Dobbiamo però evitare di adottare la logica manichea della lotta tra la barbarie e noi come esponenti della civiltà perché la realtà è più complessa e l’occidente non è affatto estraneo alla violazione dei diritti umani.

Il manicheismo non è affatto utile alla buona politica ma è strumentale, da entrambe le parti, ad altri interessi, dalla vendita delle armi alla politica di potenza. L’Europa deve uscire da una posizione di ambiguità che ci sta conducendo verso questo tragico piano inclinato. Occorre cambiare direzione e riprendere l’iniziativa. L’opinione pubblica, in tal senso, può e deve fare la propria parte.  

        

 

 

 

 

 

 

 

 

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