lunedì 30 aprile 2018

Vedere capire agire

La traccia seguita nell'incontro avuto il 29 aprile 2018  con i giovani a Loppiano (Firenze)
verso la festa del primo maggio 
Bambini giocano con le biglie in una strada dello Yemen

 Ripudio della guerra e conversione economica


Vedere, capire, agire. È questo il criterio proposto da papa Francesco che, come movimento dei focolari in Italia, siamo cercando di affrontare una questione decisiva a livello mondiale che riguarda il destino di tutti e il futuro stesso dell’umanità.

“Vedere” è il primo punto perché la tendenza è, invece, quella della rimozione e cioè non rendersi conto de pericolo di un conflitto atomico che secondo il bollettino della Federazione degli scienziati statunitensi può avvenire con probabilità maggiori degli anni ’60 quando il mondo si ritrovò ad un passo della deflagrazione nucleare . Oggi i fattori di instabilità a livello geopolitico sono tali che la continua crescita degli armamenti raggiunge una spesa annua di circa 1.700 miliardi di dollari che vede grandi gruppi economici intenti a produrre e vendere, in forte competizione tra loro su tutte le piazze e fiere in giro per il Globo, un tale potenziale distruttivo che determina le scelte fondamentali dei nostri governi. 

La stessa arma atomica vede i detentori di questo strumento di morte tentati dalla possibilità tecnologica di effettuare il primo colpo (“first Strike) senza pagarne le conseguenze e quindi illudendosi di raggiungere una egemonia a livello planetario. A 100 anni dal primo conflitto mondiale, che ha rappresentato la pianificazione della distruzione di un’intera generazione con strumenti dell’industria di distruzione di massa, siamo ancora dentro la contraddizione che visse un giovane Igino Giordani, allora ventenne, che pur indossando una divisa si rifiutò di sparare e maturò la consapevolezza di rifiutarsi agli ordini ingiusti fino a diventare , molti anni dopo, nel 1949, passato l’incubo del regime fascista che trascinò l’Italia ad una guerra ancora più rovinosa a fianco dell’alleato nazista, il primo a proporre nel parlamento italiano il diritto all’obiezione di coscienza. 


Come ha detto papa Francesco visitando un luogo, Redipuglia, dove sono conservati i resti di 100 mila giovani caduti nelle trincee, ancora oggi risuona nel mondo il grido di Caino che dice “a me che importa?”. E tutto ciò accade per il continuo prevalere del potere di pochi degli interessi dei fabbricanti di armi.

“Capire” ciò che accade non è perciò fine a se stesso ma comporta la necessità di “agire” per cambiare e rovesciare con mite ma ostinata decisione le cause strutturali che producono odiose ingiustizie sociali per immani risorse sottratte alla lotta contro la miseria per essere destinate ad un mercato di autodistruzione tanto che papa Giovanni XXIII ha definito nella enciclica “Pacem in terris, la guerra del nostro tempo moderno come qualcosa da matti, fuori da ogni ragione. 

 


Nel contesto italiano viviamo alcune contraddizioni emerse in diversi incontri promossi all’interno del parlamento da parte del Movimento, a cominciare dall’iniziativa dei giovani, studenti e lavoratori, che hanno testimoniato l’impegno a costruire reti di fraternità concreta esprimendo un radicale ripudio della guerra. In particolare in Italia assistiamo alla presenza di almeno 70 ordigni nucleari presso basi militari Usa che non dovrebbero essere accolte nel territorio di un Paese come il nostro che aderisce al tratta di non proliferazione nucleare e dovrebbe impegnarsi a ratificare il trattato di abolizione di abolizione di tali armi siglato alla Conferenza dell’Onu del luglio 2017.

Allo stesso tempo l’Italia non rispetta la legge 185/90 che vieta di inviare ami ai Paesi in guerra e che violano i diritti umani. Gli ultimi anni hanno visto crescere in maniera preoccupante le nostre esportazioni di armi pesanti verso l’area bollente del Medio Oriente. La legge 185/90 è stata approvata grazie ad una grande mobilitazione della società civile italiana per sostenere l’obiezione di coscienza dei lavoratori e lavoratrici, come le operaie della fabbrica di mine anti uomo della Valsella di Brescia, che rifiutarono di fabbricare armi per Paesi dittatoriali. La stessa legge, nel solco della Costituzione di una Repubblica che ripudia la guerra, obbliga a finanziare un fondo per la riconversione industriale delle fabbriche di armi. Azione che non è stata poi adempiuta dai vari governi che , invece, a cavallo degli anni 2000, hanno spinto un grande gruppo industriale sotto controllo statale , Finmeccanica ora Leonardo, a concentrare la propria attività in quella della cosiddetta difesa dismettendo settori decisivi del nostro patrimonio di conoscenze in campo civile e tali generare migliore e più abbondante occupazione. Un grande patrimonio di competenze e di tecnologia che rappresenta una forte risorsa del nostro Paese sta vivendo perciò un lento ma deciso processo di conversione dal civile al militare con la conseguente necessità di trovare sbocchi sul mercato in competizione o alleanza con altri gruppi mondiali del settore come testimonia la vendita di 28 caccia bombardieri al Kuwait e tante altre commesse che si concentrano nella stessa area mediorientale. 



Un primo gesto che chiediamo a tutti è quello di togliere i propri soldi dal sistema bancario che sostiene la produzione bellica. Invitiamo singoli, associazioni, chiese e enti locali a trasferire i propri conti su banche che si impegnano a non compiere opere di speculazione e sfruttamento di alcun genere e quindi aliene ad ogni rapporto con il settore degli armamenti.

Ma il caso più eclatante che viviamo in Italia riguarda una fabbrica italiana controllata da un gruppo tedesco ( la Rheinmetall  )  che produce ed esporta bombe destinate all’Arabia Saudita, Paese ai vertici del commercio mondiale delle armi ed impegnato, tra l’altro, a guidare una coalizione militare coinvolta nella guerra sconosciuta in corso nello Yemen. Secondo l’Onu si consumano in questo Paese crimini di guerra con migliaia di vittime tra i civili, milioni di sfollati, fino al bombardamento di scuole e ospedali. Uno stato di cose che ha sviluppato il divampare di una epidemia di colera.

La vera novità in questo caso è rappresentato dalla crescita di un movimento in Italia che, a partire dalla Sardegna, non accetta di essere presa in ostaggio dall'alternativa secca tra l’accettazione del lavoro per le bombe e la disoccupazione, che raggiunge livelli patologici in un’area ex mineraria del Sulcis Iglesiente, patrimonio storico, culturale e naturalistica del tutto inesplorato. Il movimento dei Focolari in Italia, a partire dalla realtà radicata in quel territorio, sostiene questo percorso di costruzione di rapporti di fraternità tra i popoli non dettati dall’economia della guerra e delle bombe, lavorando per progetti concreti di riconversione integrale dell’economia. Un percorso che impone di fermare l’illegalità dell’invio di armi pesanti verso i Paesi in guerra facendo rispettare la legge 185/90 ed esigendo una politica di riconversione che è una responsabilità di carattere nazionale. In tal senso si sono attivati molteplici rapporti per concentrare le migliori energie, a partire dal mondo universitario, a favore del lavoro che come dice Francesco deve essere occasione di riscatto e non di ricatto. 


La città di Iglesias, dove insiste in parte la fabbrica che produce bombe sita nella vicina Domusnovas, si è dichiarata città di Pace con una deliberazione unanime del suo consiglio comunale.

Per avere l’idea di cosa significa declinare il “vedere, capire e agire” si può prendere l’esempio di Alessio Lanfaloni, giovane di Rivotorto di Assisi. Arriva cioè dal luogo originario della conversione di Francesco che decise di abbracciare il lebbroso, un fatto scandaloso che infatti non è riportato negli affreschi di Giotto nella basilica maggiore. Così pochi conoscono l’invito che un giovane francescano inerme, inviato da Francesco, rivolse all’imperatore Ottone di Brunswick di gettare via le armi. 


Alessio nel 2017, nel pieno delle celebrazioni del 4 ottobre, ha innalzato davanti al presidente del consiglio italiano Gentiloni uno striscione esplicito per dire : “basta ipocrisie, stop armi ai sauditi”. Un semplice gesto che lo ha esposto in un primo tempo ad essere fermato dalla polizia per accertamenti. Questa è la vocazione politica che l’esponente del pensiero nonviolento, il perugino Aldo Capitini, esprimeva con la frase “anche se tutti, io no”. Il vero ostacolo all’impegno serio è dato dall’accettazione della realtà come un dato di fatto imposto dal potere e verso il quale non possiamo far nulla. Sta di fatto che, anche grazie a quel gesto, la città di Assisi con il suo sindaco e il vescovo hanno scritto al presidente della Repubblica perché intervenga a ripristinare la Costituzione nel caso delle bombe destinate al disastro yemenita e la città di Assisi si è proposta come ponte ideale con Iglesias. “Le città sono vive” diceva un grande sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, “non sono ammassi casuali di pietre”.

Ora tra pochi giorni, dal 5 al 6 maggio, come Net One e Città Nuova vivremo con la popolazione di Iglesias due giorni dedicati ad un seminario di giornalismo internazionale per rimettere al centro il fatto che interessa come un caso di valenza universale il mondo dell’informazione, aprendosi poi ad un cammino sull’antico sentiero minerario di Santa Barbara dove si terrà la marcia Run for Unity in collegamento ideale con la rete mondiale di pace che tale manifestazione esprime.

La due giorni, che è solo la tappa di un cammino, porta il nome di “Sardegna isola di pace”. 

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