verso la festa del primo maggio
Bambini giocano con le biglie in una strada dello Yemen |
Ripudio della guerra e conversione economica
Vedere,
capire, agire. È questo il criterio proposto da papa
Francesco che, come movimento dei focolari in Italia, siamo cercando di
affrontare una questione decisiva a livello mondiale che riguarda il destino di
tutti e il futuro stesso dell’umanità.
“Vedere”
è il primo punto perché la tendenza è, invece, quella della rimozione e cioè
non rendersi conto de pericolo di un conflitto atomico che secondo il
bollettino della Federazione degli scienziati statunitensi può avvenire con
probabilità maggiori degli anni ’60 quando il mondo si ritrovò ad un passo
della deflagrazione nucleare . Oggi i fattori di instabilità a livello
geopolitico sono tali che la continua crescita degli armamenti raggiunge una
spesa annua di circa 1.700 miliardi di dollari che vede grandi gruppi economici
intenti a produrre e vendere, in forte competizione tra loro su tutte le piazze
e fiere in giro per il Globo, un tale potenziale distruttivo che determina le
scelte fondamentali dei nostri governi.
La stessa arma atomica vede i detentori
di questo strumento di morte tentati dalla possibilità tecnologica di
effettuare il primo colpo (“first Strike)
senza pagarne le conseguenze e quindi illudendosi di raggiungere una egemonia a
livello planetario. A 100 anni dal primo conflitto mondiale, che ha
rappresentato la pianificazione della distruzione di un’intera generazione con
strumenti dell’industria di distruzione di massa, siamo ancora dentro la
contraddizione che visse un giovane Igino Giordani, allora ventenne, che pur
indossando una divisa si rifiutò di sparare e maturò la consapevolezza di
rifiutarsi agli ordini ingiusti fino a diventare , molti anni dopo, nel 1949,
passato l’incubo del regime fascista che trascinò l’Italia ad una guerra ancora
più rovinosa a fianco dell’alleato nazista, il primo a proporre nel parlamento
italiano il diritto all’obiezione di coscienza.
Come ha detto papa Francesco visitando un luogo,
Redipuglia, dove sono conservati i resti di 100 mila giovani caduti nelle trincee,
ancora oggi risuona nel mondo il grido di Caino che dice “a me che importa?”. E tutto ciò accade per il continuo prevalere
del potere di pochi degli interessi dei fabbricanti di armi.
“Capire”
ciò che accade non è perciò fine a se stesso ma comporta la necessità di “agire” per cambiare e rovesciare con
mite ma ostinata decisione le cause strutturali che producono odiose
ingiustizie sociali per immani risorse sottratte alla lotta contro la miseria
per essere destinate ad un mercato di autodistruzione tanto che papa Giovanni XXIII
ha definito nella enciclica “Pacem in terris, la guerra del nostro tempo
moderno come qualcosa da matti, fuori da ogni ragione.
Nel contesto
italiano viviamo alcune contraddizioni emerse in diversi incontri promossi
all’interno del parlamento da parte del Movimento, a cominciare dall’iniziativa
dei giovani, studenti e lavoratori, che hanno testimoniato l’impegno a
costruire reti di fraternità concreta esprimendo un radicale ripudio della
guerra. In particolare in Italia assistiamo alla presenza di almeno 70 ordigni
nucleari presso basi militari Usa che non dovrebbero essere accolte nel
territorio di un Paese come il nostro che aderisce al tratta di non
proliferazione nucleare e dovrebbe impegnarsi a ratificare il trattato di
abolizione di abolizione di tali armi siglato alla Conferenza dell’Onu del
luglio 2017.
Allo stesso tempo l’Italia non rispetta la legge
185/90 che vieta di inviare ami ai Paesi in guerra e che violano i diritti
umani. Gli ultimi anni hanno visto crescere in maniera preoccupante le nostre
esportazioni di armi pesanti verso l’area bollente del Medio Oriente. La legge 185/90 è stata approvata grazie
ad una grande mobilitazione della società civile italiana per sostenere
l’obiezione di coscienza dei lavoratori e lavoratrici, come le operaie della
fabbrica di mine anti uomo della Valsella di Brescia, che rifiutarono di
fabbricare armi per Paesi dittatoriali. La stessa legge, nel solco della
Costituzione di una Repubblica che ripudia la guerra, obbliga a finanziare un
fondo per la riconversione industriale delle fabbriche di armi. Azione che non
è stata poi adempiuta dai vari governi che , invece, a cavallo degli anni 2000,
hanno spinto un grande gruppo industriale sotto controllo statale ,
Finmeccanica ora Leonardo, a concentrare la propria attività in quella della
cosiddetta difesa dismettendo settori decisivi del nostro patrimonio di
conoscenze in campo civile e tali generare migliore e più abbondante
occupazione. Un grande patrimonio di competenze e di tecnologia che rappresenta
una forte risorsa del nostro Paese sta vivendo perciò un lento ma deciso
processo di conversione dal civile al militare con la conseguente necessità di
trovare sbocchi sul mercato in competizione o alleanza con altri gruppi
mondiali del settore come testimonia la vendita di 28 caccia bombardieri al
Kuwait e tante altre commesse che si concentrano nella stessa area
mediorientale.
Un primo gesto che chiediamo a tutti è quello di togliere
i propri soldi dal sistema bancario
che sostiene la produzione bellica. Invitiamo singoli, associazioni, chiese e
enti locali a trasferire i propri conti su banche che si impegnano a non
compiere opere di speculazione e sfruttamento di alcun genere e quindi aliene
ad ogni rapporto con il settore degli armamenti.
Ma il caso più eclatante che viviamo in Italia
riguarda una fabbrica italiana controllata da un gruppo tedesco ( la
Rheinmetall ) che produce ed esporta bombe destinate
all’Arabia Saudita, Paese ai vertici del commercio mondiale delle armi ed
impegnato, tra l’altro, a guidare una coalizione militare coinvolta nella
guerra sconosciuta in corso nello Yemen. Secondo l’Onu si consumano in questo
Paese crimini di guerra con migliaia di vittime tra i civili, milioni di
sfollati, fino al bombardamento di scuole e ospedali. Uno stato di cose che ha
sviluppato il divampare di una epidemia di colera.
La vera
novità in questo caso è rappresentato dalla crescita di un movimento in
Italia che, a partire dalla Sardegna, non accetta di essere presa in ostaggio
dall'alternativa secca tra l’accettazione del lavoro per le bombe e la
disoccupazione, che raggiunge livelli patologici in un’area ex mineraria del
Sulcis Iglesiente, patrimonio storico, culturale e naturalistica del tutto
inesplorato. Il movimento dei Focolari in Italia, a partire dalla realtà
radicata in quel territorio, sostiene questo percorso di costruzione di
rapporti di fraternità tra i popoli non dettati dall’economia della guerra e
delle bombe, lavorando per progetti concreti di riconversione integrale
dell’economia. Un percorso che impone di fermare l’illegalità dell’invio di
armi pesanti verso i Paesi in guerra facendo rispettare la legge 185/90 ed esigendo una politica di riconversione che è una
responsabilità di carattere nazionale. In tal senso si sono attivati molteplici
rapporti per concentrare le migliori energie, a partire dal mondo
universitario, a favore del lavoro che come dice Francesco deve essere
occasione di riscatto e non di ricatto.
La città di Iglesias, dove insiste in parte la
fabbrica che produce bombe sita nella vicina Domusnovas, si è dichiarata città
di Pace con una deliberazione unanime del suo consiglio comunale.
Per avere l’idea di cosa significa declinare il
“vedere, capire e agire” si può prendere l’esempio di Alessio Lanfaloni,
giovane di Rivotorto di Assisi. Arriva cioè dal luogo originario della
conversione di Francesco che decise di abbracciare il lebbroso, un fatto
scandaloso che infatti non è riportato negli affreschi di Giotto nella basilica
maggiore. Così pochi conoscono l’invito che un giovane francescano inerme,
inviato da Francesco, rivolse all’imperatore Ottone di Brunswick di gettare via
le armi.
Alessio nel 2017, nel pieno delle celebrazioni del 4
ottobre, ha innalzato davanti al presidente del consiglio italiano Gentiloni
uno striscione esplicito per dire : “basta ipocrisie, stop armi ai sauditi”. Un
semplice gesto che lo ha esposto in un primo tempo ad essere fermato dalla
polizia per accertamenti. Questa è la vocazione politica che l’esponente del
pensiero nonviolento, il perugino Aldo Capitini, esprimeva con la frase “anche
se tutti, io no”. Il vero ostacolo all’impegno serio è dato dall’accettazione
della realtà come un dato di fatto imposto dal potere e verso il quale non
possiamo far nulla. Sta di fatto che, anche grazie a quel gesto, la città di Assisi
con il suo sindaco e il vescovo hanno scritto al presidente della Repubblica
perché intervenga a ripristinare la Costituzione nel caso delle bombe destinate
al disastro yemenita e la città di Assisi si è proposta come ponte ideale con
Iglesias. “Le città sono vive” diceva un grande sindaco di Firenze, Giorgio La
Pira, “non sono ammassi casuali di pietre”.
Ora tra pochi giorni, dal 5 al 6 maggio, come Net
One e Città Nuova vivremo con la popolazione di Iglesias due giorni dedicati ad
un seminario di giornalismo internazionale per rimettere al centro il fatto che
interessa come un caso di valenza universale il mondo dell’informazione,
aprendosi poi ad un cammino sull’antico sentiero minerario di Santa Barbara
dove si terrà la marcia Run for Unity in collegamento ideale con la rete
mondiale di pace che tale manifestazione esprime.
La due giorni, che è solo la tappa di un cammino,
porta il nome di “Sardegna isola di pace”.
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