Per mantenere vivo il fuoco e farlo divampare invece di coltivare il culto delle ceneri ho fatto alcune domande a don Bruno Bignami dopo che ho saputo della sua presenza nella pastorale sociale della Cei. Quando ho finito l'intervista ho appreso che era stato nominato direttore dell'ufficio. Dice cose importanti e in controtendenza.
La necessità di ribadire l’urgenza, niente affatto scontata,
dell’accoglienza verso i migranti, il ripudio della guerra e la centralità
della persona prima del profitto, mette in evidenza lo smarrimento e quasi la
rimozione di un’evidenza antropologica data per acquisita.
E questo avviene anche all’interno della comunità cristiana e tra coloro
che si professano credenti. Cosa è avvenuto negli ultimi anni? Per cercare di
compiere una lettura in profondità del nostro tempo avremmo bisogno della
profezia di Primo Mazzolari.
Il parroco di campagna e maestro di fede che
davanti alla titubanza di molti della sua Chiesa, in presenza del fascismo,
affermava «a forza di stare zitti, quando parleremo nessuno ci riconoscerà
perché ci avranno dati già per morti». Abbiamo perciò intervistato il
presidente della Fondazione Mazzolari, don Bruno
Bignami, che è stato nominato da settembre 2017 direttore dell’Ufficio
nazionale per i problemi sociali e il lavoro, con responsabilità anche sul
Progetto Policoro. Bignami, già parroco nel cremonese e docente di teologia
morale, ha da poco pubblicato un testo (“Misericordia a bracciate”) su
Mazzolari dove ricostruisce l’esperienza originale di questo prete di periferia,
scomparso nel 1959, attraverso una serie di lettere, finora inedite, inviate ad
una molteplicità di interlocutori del suo tempo, che è tuttora il nostro se
sappiamo metterci in ascolto.
Perché Mazzolari ha molto da dirci oggi?
Il nocciolo del suo messaggio è quello di un cristianesimo incarnato dentro
la storia e la sua complessità ed è significativo oggi che attraversiamo un
cambiamento d’epoca con tante incertezze, una fase storica che ci chiede di
abitarla e non si stare alla finestra a guardare
Certe volte non sembra tuttavia in ambiti ecclesiali che si celebri il
passato distogliendo lo sguardo dal presente? Mentre di fatto prevalgono
altri modelli di vita. Non aveva forse intuito la cosa il filosofo Pietro Prini
che parlava di uno specie di scisma in atto tra i cristiani?
Lo “scisma sommerso” a cui faceva riferimento Pietro Prini è la separazione
tra l’adesione di facciata e la reale convinzione di coloro che si dicono
credenti agli insegnamenti della Chiesa ma scelgono in maniera individualistica
secondo il tornaconto personale.
Eppure Il legame con la
radicalità di Mazzolari, del suo “tu non uccidere”, è molto forte, ad esempio,
in chi oggi si impegna nel contrastare la logica della guerra che permette, ad
esempio, l’invio di bombe italiane usate nella guerra in Yemen…
Certo il tema della pace richiede oggi maggiore coraggio di fronte ai
silenzi generalizzati degli ultimi anni nei confronti dell’aumento della
produzione e vendita degli armamenti. È stata messa da parte tutta una
importante riflessione che proveniva dal mondo cattolico e in particolare
dall’insegnamento di Mazzolari. Si veda la maniera ideologica con cui viene
sostenuta la questione della legittima difesa personale.
In che senso?
Ad esempio si tende a presentarla sempre come lecita, mentre nella
tradizione cristiana ha dei limiti ben precisi perché il valore della vita è
superiore ad altri beni. Il dato evidenzia uno scadimento di riflessione etica
e coincide con una visione individualistica, estranea a quella cristiana, dove
la propria identità si riflette nelle cose di proprietà tanto da arrivare a
dire “io difendo in maniera assoluta ciò che mi appartiene”.
Cosa è successo in questi anni?
Possiamo dire che abbiamo perso molto tempo e non ci siamo accorti del
necessario passaggio di testimone che ci arrivava dal secolo scorso. Esiste un
affaticamento che ha finora impedito di aprire gli occhi sulla realtà. In
questo senso assume un particolare valore quanto afferma Francesco e cioè che
la realtà è superiore all’idea, mentre spesso una certa idea mistifica la
realtà tanto da cambiarne i connotati.
Perché abbiamo avuto ad esempio anche parlamentari di tradizione
cattolico democratica silenti davanti a mozioni che chiedevano di fermare
l’invio di bombe per la guerra in Yemen? È stata, forse, la presunta tecnocrazia
assunta in politica al posto degli ideali a determinare tale stato di cose?
In genere emerge una incoerenza di fondo che sembra quasi inconsapevole.
Bisogna, invece, capire gli interessi concreti in gioco. In un ragionamento
libero da condizionamenti si arriverebbe ad altre conclusioni. Dobbiamo perciò
chiederci: cosa è che sta spingendo fortemente per mantenere in piedi questo
sistema? Nel caso delle bombe costruite in Italia per essere vendute sui teatri
di guerra, come quello dello Yemen, occorre chiarire che non possiamo chiamare
lavoro ciò che provoca la morte. Non possiamo fare convegni sul lavoro libero, creativo,
partecipativo e solidale per poi accettare una situazione insostenibile. Non è
lavoro. Evidentemente esistono dei passaggi necessari ancora da compiere, forse
perché siamo ancora condizionati da modi ormai superati di ragionare che
mettono in competizione il lavoro con la sua sostenibilità e la dignità della
persona. La prospettiva va completamente ribaltata.
In che modo?
Dobbiamo dirci esplicitamente che questo modello di sviluppo è
insostenibile perché produce danni e, prima o poi, anche disoccupazione.
Dobbiamo ripartire dalla capacità di generare lavoro a servizio della vita.
Superando anche il paradosso di esternalizzare da noi in Sardegna una attività
che in Germania (sede della società che controlla la fabbrica italiana della
Rwm, ndr) non è consentita.
Un giovane universitario umbro ne ha chiesto ragione pubblicamente alla
Merkel che si è recata ad Assisi per ricevere un premio, ma la Cancelliera ha
detto che doveva documentarsi. Al di là dell’episodio, simile a quanto avviene
con i politici nostrani, alla fine tutto ciò non appare l’accettazione di un
certo relativismo etico?
Diciamo che si manifesta il fatto di considerare la vita e l’esistenza di
alcune persone a seconda dell’importanza che gli viene data, quando ad esempio
si accetta che in certi luoghi si possa delocalizzare ciò che inquina nel
nostro territorio. Accettiamo di restare indifferenti verso uomini e donne dei
quali ignoriamo il volto. Ma in fondo io parlerei molto più semplicemente di
opportunismo, della possibilità di portare a casa un profitto a scapito dei
diritti e della dignità altrui. Sicuramente anche all’interno del mondo
cattolico emerge la perdita della consapevolezza della storia da cui
proveniamo. Non saprei dire se si tratta di relativismo o di una carenza etica
di fondo. Forse le due cose vanno assieme ma il problema è reale
Anche l’accettazione del lavoro domenicale nei centri commerciali da parte
di molti credenti, nonostante i proclami della Cei, si può leggere come l’esito
di tale cedimento strutturale? Basta fare un piccolo sondaggio tra i cattolici
per scoprirsi parte di una minoranza derisa se si prova a voler mettere qualche
paletto alla Gdo. In sostanza prevale l’interpretazione di un giuslavorista
come Ichino (che dice “non è un valore assoluto”) molto apprezzato tra i
cattolici moderati …
È evidente che si tratta di una partita persa a monte, sul fondamento e
senso della domenica ridotta al precetto della messa e non all’interno del
recupero della propria umanità, delle relazioni con la famiglia, gli altri, Dio
e i poveri. Una partita che si è persa perché non si è voluta giocare
accettando la banalizzazione del senso del tempo, del lavoro e del riposo
come valore relazionale profondo e non moralistico. Qualcosa che è legata alla
condizione umana ed è nel Dna dell’annuncio cristiano.
Ma è una partita persa per sempre?
Esiste la difficoltà di parlare di questioni complesse come il recupero
della relazione e della cura e del senso del lavoro in una cultura che tende
alla semplificazione.
Nella pratica tuttavia sono i sindacalisti delle Usb che fanno picchetti
contro l’obbligatorietà del lavoro festivo nei centri commerciali, che sostengono
le madri che giungono ad imbavagliarsi per protesta perché la turnazione gli
sottrae il tempo per stare in famiglia con i figli. Non rischiamo nel mondo
cattolico di fare astratti discorsi sui valori?
Credo proprio di sì. Come ho detto ci vuole un punto di svolta e bisogna
riprendere il discorso dalle fondamenta.
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