venerdì 11 agosto 2017

Vedere le cose a testa in giù

Ecco la traccia di un dialogo del 2007 sulla questione della politica industriale fondata sulla produzione di armi. A Emilio Lonati, dirigente dei metalmeccanici della Cisl , avevo chiesto sulla rivista Solidarietà internazionale, il perchè della rinuncia del sindacato a seguire la traccia di Elio Pagani e compagni che obiettarono alla produzione militare negli anni Novanta del secolo scorso 




Caro Carlo,
                cercherò di rispondere alla tua stimolante osservazione in maniera un po’ più articolata rispetto a quanto non mi abbia potuto consentire di fare il mio stringato passaggio, a riguardo, sull’intervista da te citata.

Innanzitutto non sono un pacifista “pentito”; ero, sono e rimarrò amico e sostenitore di Elio Pagani e “compagni” e delle loro eroiche battaglie (alcune delle quali combattute assieme).
Credo però che la conquista di un mondo senza armi e in pace sia un percorso – oltrecchè faticoso –  lungo e fatto “a passi”, purchè siano nella direzione giusta.

E’ un po’ quello che successe quando lottavamo per l’ottenimento di una Legge – severa – per il controllo della produzione e dell’esportazione di armi:
un approccio radicale avrebbe portato a dire che “le armi non si controllano…. Non devono essere prodotte ……….e basta!”

Per fortuna riuscimmo ad ottenere - il varo della L.185 (talmente importante che il complesso militare–industriale non ha ancora rinunciato al tentativo  di metterla in discussione).

Anche qui, parlare di politica Estera Europea “comune” – e quindi di un sistema di difesa Europea “comune” – significa, oltrecchè fare un passo nella direzione giusta, mettere in discussione immensi interessi, quali:
il superamento delle “sovranità nazionali” che oggi i singoli Paesi vantano su questi delicati temi,
il venir meno della necessità dell’organizzazione NATO, il contrastare il disegno egemonico americano in termini sia strategici che militari (interventi con la logica dei “due pesi, due misure”; decisione sullo scudo spaziale, mettendo in discussione i trattati per la non proliferazione dei missili antimissile; etc).
Oggi a me preoccupa l’incontrastato monopolio nord-americano:
-         gli USA si sono imposti come i “gendarmi del mondo”, ovviamente intervenendo in maniera “discrezionale” in rapporto ai loro interessi strategici;
-         gli USA ambiscono a qualificarsi anche come i “giudici del mondo”, opponendosi di conseguenza alla Costituzione di un Tribunale Internazionale Penale, un organismo sopranazionale e super partes, titolato a pronunciarsi in qualunque situazione si verifichino gravi violazioni dei diritti umani, crimini contro l’umanità, etc.
Nel frattempo le Nazioni Unite sono state ripetutamente scavalcate, confermando la loro impotenza rispetto all’obiettivo, agognato da intere  generazioni, di avere riconosciuto anche il ruolo di forza di Pace Internazionale.

L’ONU – da diversi anni a questa parte – è pressoché “morta”; ma non si è “suicidata”: l’hanno fatta morire, rendendola impotente, gli Stati Uniti e non solo.

E’ tenendo conto di questo scenario, di questa contestualizzazione storica, che sono arrivato alla considerazione secondo la quale – ritenendo molto pericoloso l’attuale “monopolio USA”, e mentre profondiamo impegno per ottenere una profonda riforma dell’organismo delle Nazioni Unite, dotandola di poteri e risorse adeguate – sia necessario puntare sul rafforzamento dell’Europa sotto il profilo politico e strategico. L’Europa deve inserirsi – con le sue tradizioni di stabilità, di umanesimo, di democrazia – come soggetto autonomo nelle grandi vicende geo-politiche internazionali.
Ciò passa attraverso la definizione di una politica estera “Europea”, e la costruzione di una adeguata struttura per la sicurezza/difesa comuni, utilizzabile anche per interventi urgenti nei casi di gravi calamità naturali, ma soprattutto capace di interventi di “Peace Keeping” e “Peace Enforcing” sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Vorrei infine precisare che il nostro impegno prioritario deve essere quindi la costruzione degli “Stati Uniti del Mondo” (il Villaggio globale…..), ma credo sia indispensabile – per arrivare a ciò e nell’ottica quanto meno di un mondo “multipolare” - anche la realizzazione di quello,  intermedio, degli Stati Uniti d’Europa.
Un abbraccio  Emilio Lonati Roma 20 giugno 2007         


Caro Emilio
Ti ringrazio della risposta inaspettata ricevuta tramite Eugenio Melandri.
Ho letto il libro di Eugenio sulla missione elettorale in Congo e, subito dopo, sul sito della Fim ho potuto vedere la tua foto col giovane maestro che vuole iniziare il sindacato tra quel “popolo che non si è mai adattato alla guerra” e, quindi, mi è parso evidente che il tuo impegno non conosce mezze misure.
Non si tratta,perciò, con te di fare teoria generale  quanto di entrare nel dettaglio. Devo risponderti in maniera articolata come frutto di un lavoro compiuto all’interno del movimento romano per la riconversione, sperando che tu riesca a trovar tempo e pazienza per leggerlo.
A febbraio, durante un seminario organizzato in provincia di Roma da Controllarmi, il presidente nazionale delle Acli ha ripetuto la tesi tradizionale definita dalla commissione Justitia et Pax del 1994 sul principio di sufficienza (è legittimo costruire armi solo per la difesa). D’altra parte anche tu, nell’intervista a Solidarietà internazionale, sostieni che “bisogna continuare a lottare perché si costruiscano solo armi di difesa e mai di offesa”.  Sennonché in quella sede del seminario ho chiesto ad un altro relatore del convegno, il segretario generale della associazione industrie per l’Aerospazio e i sistemi di difesa Carlo Festucci, di commentare  questa  tesi della sola difesa che sembra una regola astratta impossibile da attuare quando si costruisce del materiale bellico. Festucci, che proviene con orgoglio dal sindacato Fiom, non ha avuto remora alcuna nel denunciare e palesare il suo fastidio per il moralismo inconcludente che teorizza senza adesione alla realtà e mi ha confermato pubblicamente che, come riportava su Mondo Economico di quella settimana in un’intervista a Guargaglini ad di Finmeccanica, la Santa Sede, ad esempio,  non ha mai fato giungere una nota o una pressione particolare sul tipo di produzione del celebrato gruppo industriale a partecipazione pubblica.
Al termine della recente visita del presidente Bush II° in Italia, abbiamo visto come il Pentagono ha scelto il C-27J Spartan, aereo da asporto tattico realizzato da Alenia Aeronautica (cosietà controllata da Finmeccanica) in consorzio con L-3 e Boeing. Una commessa che prevede, nell’arco di dieci anni, la fornitura di 207 aerei per un valore stimato di circa sei miliardi di dollari.
In maniera molto trasparente Guargaglini ha dichiarato che “ Il successo ottenuto insieme a partner americani, dimostra come la decisone di puntare sugli Stati Uniti, il mercato con il budget per la difesa più ampio del mondo,si sia rivelata vincente” [1]. Il che mi sembra una strategia così semplice da sembrare puerile.

Cosa ci faranno gli americani con gli Spartan lo possiamo immaginare, ma sarà difficile distinguere l’azione di difesa da quella di offesa. E poi, come ha espresso con esattezza la Tathcher nel suo discorso del 7 luglio 1900 di fronte al Noth Atlantic Council, [2] “mentre riduciamo le nostre truppe, la Nato deve rimanere all’avanguardia della nuova tecnologia militare” posto che “abbiamo un grande debito con gli Stati Uniti e dobbiamo fare il possibile per sostenerli   e difenderli”.  
Rimane il fatto che per mantenere ricco  il portafogli ordini di Alenia, come qualsiasi altra azienda, deve incentivare la penetrazione commerciale. Il volume degli investimenti, le spese per la ricerca, si giustificano solo con grossi fatturati e allora diviene comprensibile che Ciampi e Fini nel 2004, come Prodi e D’Alema nel 2006, al termine dei loro viaggi in Cina “devono” auspicare che sia rimosso l’embargo UE alla vendita di armi al colosso asiatico che, tra l‘altro, è già molto esperto nel settore, visto che ne fa  moneta di scambio con alcuni governi africani. 
Sembra la conferma della analisi attribuita a Lenin secondo la quale il capitalista è costretto a vendere e a far profitto anche sulla corda destinata ad impiccarlo.
Come dice Festucci, tutti vorremmo vivere in pace, ma se il mondo è quello che è, le armi occorrono e qualcuno le deve pur produrre.  Se poi noi le vendiamo ai nostri alleati Nato perché fare tutti quei controlli sulle transazioni?
Non mi sembra che si possa porre un limite alle aziende nel mercato. Come si può impedire di far concorrere le nostre imprese alla grande opportunità di crescita del fabbisogno americano di nuovi armamenti ?  Di per sé, come sappiamo dall’ultima relazione annuale del 2006, pur in presenza della legge 185 ci sono comunque delle anomalie e i nostri prodotti non riempiono più,come ai tempi d’oro,  l’Iraq di mine fabbricate Valsella Fiat ,ma riescono a giungere in Nigeria, Turchia, Libia, Pakistan e anche la Cina stessa per importi minori.
Il governo Prodi ha dovuto accettare la base americana di Vicenza, avamposto della guerra globale che tu giustamente critichi e contesti .
La vecchia Jugoslavia, come ci ricorda il Generale Fabio Mini, aveva stipulato decine di accordi segreti con gli USA[3]. Siccome rimangono segreti, chissà quanti ne hanno siglati i nostri governanti.   E poi, come si fa a non provare una sincera partecipazione umana per quel fine intellettuale cattolico democratico che si trova a fare il Ministro della Difesa e si riduce  a scrivere inutili lamentele agli alleati anglo americani in Afghanistan che inevitabilmente coinvolgono nelle azioni di guerra i civili? E tutto questo  avviene senza pudore anche nel territorio  sotto controllo italiano  dove abbiamo mandato i “nostri ragazzi” a fare “una operazione di pace”.
Il tutto si spiega con quella anomalia che tu racconti a proposito dei conti Augusta, che non temevano i cattolici nella loro fabbrica. Un vescovo incensava i padroni ad ogni festa comandata perché creavano lavoro, fino a quell’ episodio di rottura del gesuita mandato da Martini (quindi in tempi a noi molto prossimi) che tu e gli altri lavoratori  avete fatto entrare nel territorio intoccabile della fabbrica,  opponendovi all’azione dei poveri cristi della vigilanza.   
Un altro gesuita, invece, nel 1949, dalla sede autorevole della Civiltà Cattolica, ravvisava con lungimiranza il pericolo eversivo della  proposta di legge sulla obiezione di coscienza al servizio militare presentata per la prima volta nel Parlamento italiano :“ La pericolosità del  soggettivismo che con essa si vuole rendere legale si può già vedere in atto nel rifiuto degli operai di qualche industria bellica di lavorare alla produzione delle armi” [4]

Il colto padre Messineo aveva così prefigurato ciò che “Elio Pagani e compagni” (uso volutamente un termine che ricorda gli episodi come la cristiana Legione Tebana che si ribella agli ordini dell’ Imperatore ) hanno operato con il comitato cassintegrati aermacchi per la pace, quando cioè si è risvegliata quella coscienza che permetteva al sindacato di
 “ mobilitarsi contro un modello di  sviluppo fondato sulla spesa militare e la produzione di armi e contro un mercato di morte perverso e pericoloso, in modo da  sollecitare la  crescita di consapevolezza e di responsabilità dei delegati e dei
lavoratori del settore bellico, ad indicare loro la necessità di vigilanza  e di piattaforme aziendali capaci di coniugare pace e diritto al lavoro” . (
così riportato storicamente nell’ appello al sindacato ”contro bilanci di guerra”del 2002).

Elio, recentemente, mi ha raccontato di come, a quel tempo, alcuni operai  intervenivano nelle assemblee pubbliche con la tuta da lavoro. Come a significare la dignità e il protagonismo sociale di una condizione non servile capace di dirottare il senso della storia mantenendo il controllo sul processo di produzione. Mi rendo conto che queste note operaiste sono oggetto, adesso, di ironia, ma ho ben chiaro, nella mia memoria, il ricordo di un prozio contadino che tornava a casa tardi per evitare di passare nel centro del paese con gli abiti da lavoro e la zappa per una sorta di rassegna quotidiana di sudditanza davanti ai maggiorenti del luogo.

Presumo che nessun confessore o consigliere spirituale abbia sostenuto la decisione di un padre di famiglia di mettere a repentaglio la propria sicurezza per motivi di coscienza. Trattati di morale sono pronti a giustificare tutto dato che l’esecutore finale di una decisione ingiusta non è altro che uno strumento inconsapevole e inanimato.
Come cattolici, senza negare la complessità della questione, ci portiamo il fardello rimosso di due guerre mondiali che avevano tutte le caratteristiche per essere definite ingiuste con conseguente disobbedienza agli ordini superiori. Invece, come sappiamo, una generazione della Italia operaia e contadina è stata inghiottita dal mattatoio della prima guerra mondiale decisa da èlite massoniche. Mentre la legittimità della guerra di aggressione fascista non meritava neanche di essere considerata, rimanendo valide quelle semplici e sofferte domande che il giovane aviatore formulava a don Primo Mazzolari nel maggio del 1941.[5]

Per arrivare ai giorni nostri, la condanna della guerra in Iraq da parte di papa Giovanni Paolo II° è stata così netta e precisa da dover indurre una decisa indicazione a non collaborare, così come avviene per l’aborto. Invece, come sappiamo, siamo arrivati al punto di veicolare immagini più chiare di molti discorsi,  di un papa ormai debilitato a cui un sorridente e impacciato Bush, nel 2004, infilava sul collo l’onorificenza massima degli Usa: la medaglia della libertà. Un anno dopo, le truppe angloamericane bombardavano al fosforo la città irachena di Falluja, come gli alleati fecero con Dresda nel 1945.
Con questa incertezza strutturale e debolezza morale, come possiamo muoverci e chiedere il sostegno su una vera politica industriale orientata a dismettere la produzione di armi per privilegiare altre spese e investimenti?  Ho immaginato la reazione degli eredi dei conti Augusta di fronte agli ex comunisti dei Ds che nel gennaio 2006 hanno convocato preventivamente vertici militari, direzione  Finmeccanica e sindacati per assicurare l’aumento delle spese in armamenti con l’imminente governo di centro sinistra. Una promessa preelettorale compiutamente adempiuta con la prima legge finanziaria dell’esecutivo Prodi. Pensa a quanta vernice verde sprecata per coprire il “rosso” delle macchine distributrici di coca cola e la loro ossessione anticomunista! Arrivati al potere i vecchi quadri del Pci si sono riconvertiti a fare i promotori commerciali della produzione italica di qualità ( significativa  l’espressione raggiante del sottosegretario Forcieri  per l’accordo con gli Usa per la commessa dei  caccia bombardieri JSF 35 ).
Di sindacalisti anomali siete rimasti in ben pochi.
La strategia imprenditoriale rimane quella di farti consumare in trattative di contenimento e difesa di ristrutturazioni giustificate dalla massimizzazione dei profitti degli azionisti. Se solo pensiamo a come il fondo americano Carlyle, nella sua filiale italiana gestita dal figlio di Carlo De Benedetti, sia riuscito a comprare Fiat Avio nel 2003 a 1.5 miliardi di euro per poi rivenderlo, tre anni dopo nel 2006, a 2.57 miliardi di euro al  fondo europeo Cinven[6] e , poi, a febbraio 2007 è bastata la perdita di una commessa per imporre la messa in mobilità di 250 lavoratori della unità produttiva Avio di Pomigliano d’Arco.[7]  

Secondo il tuo amico Gianni Alioti occorre vedere le cose “a testa in giù”, adoperando una prospettiva diversa da quella imposta dalla mentalità ideologicamente determinata che associa l’occupazione piena con le commesse di materiale bellico. [8]  Ad una analisi serena e attenta assistita da indicatori numerici,  ci sono elementi per sostenere la occasione di rispondere al declino economico rifiutando di assecondare la centralità della spesa in armamenti che è dettata non dalle esigenze della sicurezza, quanto  dalle direttive del complesso militar industriale che Eisenhower citò nel suo discorso di addio del 1961 come un conglomerato di interessi che “non danno garanzie sia palesi che occulte” e sono tali da dispiegare la loro “influenza totale nell’economia, nella politica e anche nella spiritualità”.

Certe scelte industriali nascono invece dalle ricostruzioni della storia recente come quella accetta da Adriano Sofri in un famoso articolo[9] in cui, pur dichiarando l’affetto per gli amici pacifisti e affermando che non si piegava all’idea che tutto ciò che si realizza sia razionale e buono, riconosceva la efficacia della svolta della pace in Europa non tanto alle manifestazioni imponenti dei movimenti contro la guerra  quanto alle scelte strategiche di Reagan, assecondate dal governo Cossiga Craxi Lagorio che nel 1979 si impegnò a dislocare 112 Cruise sul territorio italiano in risposta  al dispiegamento dei missili SS20 dell’allora Urss.
Si tratta dello stesso Reagan che, nel 1973, azzerò tutti i fondi stabiliti per le ricerche sulle fonti rinnovabili [10] per dirottarli sul piano degli armamenti in una spirale che avvolge e determina la nostra vita molto di più di quanto non appaia. L’aver impedito lo sviluppo della alternativa al petrolio, ha dato ragione a quel passaggio del discorso della Tatcher che affermava senza pudore di come  “non molto tempo fa alcuni di noi sono dovuti andare nel Golfo Arabo per garantirsi le forniture di petrolio” [11]
In Danimarca, al primo posto, per valore economico, troviamo il comparto dell’industria eolica che si rivela come la più competitiva nel mondo.  Si tratta di un obiettivo raggiunto grazie ad un programma avviato e sostenuto dal governo danese dagli anni 70. Così in Germania si è giunti a quadruplicare le installazioni fotovoltaiche nel breve periodo 1991-1997, abbattendo, per di più, i costi del 40% [12].
In Italia abbiamo, come contraltare, l’esempio che il giurista Ichino[13] utilizza   per contestare il sindacato che non ha  cercato di salvaguardare i posti di lavoro assecondando i progetti di riconversione produttiva proposti dalla proprietà, ma ha  creduto di poter essere determinate in un capacità progettuale, come l’ Accordo di Arese, sulla creazione di un polo della mobilità sostenibile contemplando, perciò, la possibilità non solo di governare la produzione ma arrivando a decidere di cambiare prodotto, sostituendo ad una merce  tradizionale un “obiettivo sociale” come, appunto la mobilità sostenibile ricevendo  l’aiuto di centri di ricerca come l’Enea che vi ha dedicato il lavoro di 36 ricercatori per 2 anni.
E’ evidente come ci troviamo di fronte ad un tentativo naufragato di rispondere nei fatti al piano del gruppo Fiat che si era palesato invece nell’aver impedito l’acquisto della Alfa da parte della Ford,  trasformando l’immensa unità produttiva in valore puramente immobiliare.

Non so se sei d’accordo, ma a me pare che su tutta la vicenda della riconversione delle aziende di armi, venga a gravare questo pregiudizio sul ruolo del sindacato come espressione di quell’ insieme per la giustizia che tu ben riprendi, nella intervista a Solidarietà Internazionale, come  radice etimologica e di senso del termine.  In questo senso va inteso anche la necessità di puntare sulla “omogenità delle convinzioni” visto che nelle imprese si assiste ad uno spezzettamento del lavoro che impedisce la “omogeneità delle condizioni”. Questa condivisione di convinzioni deve travalicare l’ambito delle imprese per affermare una nuova alleanza con la società nel suo insieme, tentata di cedere al fascino di quella sovranità manageriale che travalica i confini delle aziende.
Come esercizio comune ti propongo di aprire il dialogo con uno dei nuovi consiglieri di amministrazione di Finmeccanica che è il giovane professor Filippo Andreatta proveniente dal cuore di quella cultura cattolica che esprime anche Prodi che lo ha cooptato.  
 I piani di sviluppo e le commesse del Gruppo occuperanno ormai un decennio, ma forse si può analizzare la situazione e trovare un elemento di rottura, anche in ragione dell’enorme capitale investito nella ricerca, nonché in investimenti e acquisizioni.  Il sindacato può fornire elementi significativi in questa direzione chiedendo la collaborazione dei centri di studio disponibili ad affrontare rigorosamente un percorso nuovo di riconversione come esercizio di democrazia economica. Cercando anche di non arrivare al momento della crisi aziendale in cui le misure di politica industriale sono inadeguate perché hanno tempi diversi da quelli di politica del lavoro.

No per niente Andreatta è docente di politica internazionale e potremo verificare il significato del nuovo modello di difesa europeo che pone a perno del sistema stesso “la difesa degli interessi nazionali” ovunque messi in pericolo che, anche adottando termini accattivanti come “peacekeeping” induce, di fatto, ad una subalternità strategica alla politica militarista egemonica espressa dagli Usa.
Non si tratta, tuttavia, di fare del pacifismo alieno dalla percezione della condizione umana, che può anche fare a meno delle armi per darsi la morte. Così come sono convinto che non si possono sfuggire le questioni ineludibili che Alex Langer gridava con la vita, fino ad essere accusato di essere guerrafondaio, a Cannes nel 1995  chiedendo di non accettare l’equivalenza tra aggressore e aggredito e prendere la parte delle vittime di Sarajevo. 
Si tratta di rispondere in maniera non evasiva alle accuse di essere succubi dello “spirito di Monaco” e all’orrore che Simon Weil, che tu citi, provava nel vedere i suoi antichi compagni pacifisti divenire collaboratori del regime di Vichy. E quindi arrivare a fare come Bonhoeffer che nel 1934 chiedeva alla Chiesa “di interdire ai suoi figli di fare la guerra in un mondo in delirio” e nel 1943 entrava nel gruppo che progettava l’attentato a Hitler come ultima possibilità di resistere all’orrore, così come occorre fermare il folle che scaglia un tram tra la folla.
In questo senso la riflessione sulla politica industriale e le armi nasce, per me, come contributo di un’associazione che ha preso a riferimento il partigiano Teresio Olivelli, un “ribelle per amore” che già nella  definizione esprime la necessità di non sfuggire le lacerazioni della coscienza di poter resistere al male mantenendo lo sguardo di una fraternità da ricomporre. Per questo apprezzo molto il tuo impegno dentro la contraddizione delle cose.
Ti saluto ricambiando il tuo abbraccio
Carlo Cefaloni 3 luglio 2007



  
        


[1] da agenzia Finanzaonline.com - 14.6.07/12:12

[2] testo su  Ideazione n. 4 2006, pagg 190-191 
[3] Fabio mini  “ A che (chi) servono le missioni”in Limes n.3 2007
[4] A Messineo “l’obiezione di coscienza” in La civiltà cattolica vol I, 18 febbraio 1950 pag 369. 
[5] Primo mazzolari “la chiesa, il fascismo e laguerra” a cura di lorenzo bedeschi 1966 vallechi
[6] il sole 24 ore finanza e mercati del 7 agosto 2006
[7] Il denaro 20.03.2007
[8] http://www.fim.cisl.it/internazionale/Comunicazione-Alioti.asp
[9]Di uomini e missili”, Repubblica, 28 settembre 2004

[10]Cfr IL LEONE E L’ACQUARIO Relazione di Massimo Scalia al Convegno: “Il Sole del Mediterraneo”, Palermo maggio 2003        


[11] cit pag 190
[12] “l’energia pulita” Pietro MENNA , PAGG 108-109, IL MULINO 2003
[13] Pietro Ichino “ A che serve il sindacato?” 2005

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