Trasformeranno le spade in vomeri
Disarmare l’economia per una conversione ecologica
integrale
Il cammino in corso
Firenze 8 novembre 2025
Sala conferenze della società Baker Hughes già Nuova
Pignone
Traccia integrale di riferimento dell’intervento di
Carlo Cefaloni
"Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro
fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci;
un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno
più nell'arte della guerra." Isaia 2,3-4
La citazione di Isaia posta come titolo di questo
nostro incontro rimanda ad una contraddizione che spesso viene associata alla
figura di Giorgio La Pira per relegare questo personaggio anomalo, che si
definiva “spiritualmente anarchico, soggetto solo a Dio” ad una dimensione
astorica di carattere profetico che non è compatibile con il realismo politico
necessario per chi è chiamato a misurarsi con i problemi concreti che
richiedono anche e purtroppo di esercitarsi nell’arte della guerra imposta
dalle dinamiche geopolitiche che sfuggono al nostro controllo. Mi è capitato
soprattutto in ambito cattolico di ascoltare giudizi sprezzanti verso La Pira
ma forse è peggio la tentazione evidente di relegarlo ad una storia innocua, da
gestire in maniera agiografica mentre quando come Focolari in Italia, leggendo
i segni dei tempi, abbiamo deciso di promuovere un gruppo di lavoro per cercare
di condividere l’impegno per la pace assieme a papa Francesco, lo abbiamo
chiamato “economia disarmata” a partire dalla consapevolezza lapiriana che “senza
incidere sulle leve economiche e finanziarie non ci resta altra magra consolazione che fare delle belle
prediche” o teorie staccate dalla vita.
Anche se rimossa a lungo dal dibattito pubblico e
trattata come una questione marginale e
di nicchia, esiste una questione decisiva del nostro Paese: la “guerra mondiale
a pezzi” denunciata da papa Bergoglio ha
trovato l’Italia pronta tra i primi 10 produttori ed esportatori di armi ( il
sesto secondo il Sipri nel periodo 200-24) in forza di precise e trasversali
scelte di politica industriale
Il cammino compiuto in questi anni ci ha portato
assieme a molte realtà, compresa la pastorale sociale della Chiesa, ad esempio,
a sostenere l’azione dei portuali del Calp di Genova che hanno deciso di non
caricare armi dirette ad un Paesi in guerra. Sono lavoratori di un sindacato
non moderato e dal fare rumoroso. Ma il loro è un atto di disobbedienza che
nasce dall’osservanza della legge 185 approvata nel 1990 per applicare delle
regole di trasparenza alla produzione, transito e commercio di armi, vietando
l’invio verso i Paesi in guerra e/o che violano i diritti umani. Il testo
prevede anche la previsione di un fondo per la riconversione al civile che non
è stato poi finanziato.
Quella legge è un esempio di declinazione del
ripudio della guerra contenuto nel testo della Costituzione ( articolo 11)
assieme al limite della libertà dell’iniziativa economica privata (arr.41). Non
è una norma scesa dall’alto ma è stato un risultato raggiunto grazie, negli
anni 80, all’obiezione di coscienza dei lavoratori e lavoratrici alla
produzione bellica ( in particolare nell’ Aermacchi per i caccia bombardieri
destinati al Sudafrica dell’Apartheid). Sono le stesse persone, che andrebbe
premiate dalla nostra Repubblica, che hanno impegnato i propri soldi, la loro
liquidazione, per non far chiudere il centro di ricerca sulla riconversione
economica dalla produzione bellica promossa negli anni 90 dall’università
cattolica di Milano, su iiniziata del rettore Giuseppe Lazzati ma poi non più
sostenuta ( cfr https://www.riconversioneindustrialedipace.org/economia-di-pace-una-storia-da-riscoprire/ ).
Uno degli obiettivi di Economia disarmata è stata da
subito la difesa e il rilancio di questa legge ( la Legge 185/90) costantemente
sotto attacco e che rischia con un progetto di riforma in stato avanzato,
nonostante l’appello di decine di associazioni e movimenti, di essere svuotata
di efficacia mentre il caso della Rwm in Sardegna ha dimostrato che una società
civile attiva e responsabile è riuscita a bloccare dal 2019 al 2023 l’invio di
missili e bombe verso l’Arabia Saudita colpendo gli interessi di una multinazionale
che ora è protagonista del gigantesco piano di riarmo della Germania.
È interessante notare che la resistenza esemplare e
costituzionale dei lavoratori alla produzione bellica era stata vista come una
prospettiva di disordine intollerabile da un padre gesuita della Civiltà Cattolica
paventandone il rischio come effetto dalla proposta della legge sull’obiezione
di coscienza al servizio militare presentata dal socialista Umberto Calosso e
dal democristiano Igino Giordani che oltre ad essere un costituente è cofondatore
dei Focolari: una figura che come La Pira rischia di essere spiritualizzata e
staccata dalla storia. La proposta Calosso Giordani nasceva sull’onda del caso
dell’obiezione di coscienza al servizio militare di Pietro Pinna, esponente del
Movimento nonviolento. Così scriveva sull’autorevolissima dei gesuiti nel
febbraio 1950 padre Antonio Messineo: «i
giudici che hanno condannato il giovane Pinna a due anni di reclusione come
renitente alla leva hanno compiuto il loro dovere e la Camera compirà il
proprio respingendo la proposta di legge. La pericolosità del soggettivismo che
con essa si vuole rendere legale si può già vedere in atto nel rifiuto degli
operai di qualche industria bellica di lavorare alla produzione delle armi e
nel minacciato sciopero dei portuali per non scaricare le armi inviate
dall’America ai Paesi occidentali del Patto Atlantico».
Nella sua autobiografia scritta in tarda età Igino
Giordani descrive con vividezza il suo rifiuto viscerale provato contro la
chiamata alle armi nel primo conflitto mondiale e la decisione, una volta
coscritto, di non sparare un solo colpo nonostante lo sgomento provato nel
vedere i preti che benedivano le armi. Quel suo rifiuto giovanile che avrebbe
potuto condurlo alla fucilazione per insubordinazione ( almeno mille soldati
furono fucilati in base all’ordinanza Cadorna) lo condusse a
presentare quella legge che gli alienò la simpatia dei suoi colleghi di
partito pur essendo Giordani un esempio di antifascismo ante 1943.
In quegli stessi anni don Primo Mazzolari, sacerdote
dai trascorsi interventisti, di grande autorità morale pur avendo vissuto
sempre in periferia, ad un gruppo di giovani che gli chiedeva se dovessero in
caso di guerra prendere le armi rispose con un
libro a lungo clandestino dal titolo inequivocabile “Tu non uccidere”.
Sono questioni che sembrano a noi lontane ma
l’irrompere della guerra in Ucraina con l’invasione russa del 24 febbraio 2022
ha reso chiaro a tutti l’esito della corsa progressiva al riarmo che ha
raggiunto nel 2024 la spesa annua di 2.700
miliardi di euro: dobbiamo prepararci alla guerra come dicono i vertici della
Ue e trasformare l’intera economia in assetto di guerra. Il casus belli è
dietro l’angolo è occorre essere pronti a combattere e non solo a inviare le
armi. Finita la fase post eroica della lunga tregua siamo ora in una situazione
prebellica che richiede una massiccia politica di riarmo a scopo di deterrenza
come un porcospino d’acciaio per usare l’espressione della von der Leyen.
Occorre decidere , come dice un Vittorio Emanuele Parsi, opinionista molto
ricercato dai grandi media, “per che cosa siamo disposti a morire e quindi ad
uccidere”.
Questione palesata in tutta la sua crudezza dalla
tragedia della Terra Santa, di Gaza.
Siamo davanti, volenti o meno, allo stesso dilemma
posto dai giovani del 1951 a Mazzolari.
Relegare la nonviolenza ad una scelta eroica di
carattere personale, vuol dire vanificare
l’impegno richiesto con forte realismo da Francesco nel suo messaggio
del 2017 per una politica della nonviolenza attiva.
Per questo motivo
abbiamo cercato di dare rilievo alla proposta di Mario Primicerio,
l’allievo per eccellenza di La Pira, di lavorare come Italia e come Europa, a
prescindere dalla lacerazione sull’invio o meno delle armi, ad un azione per
far cessare il fuoco ed evitate altro bagno di sangue secondo il modello della
dilplomazia dal basso esercitata da La Pira nel 1965 in Vietnam , giunta ad un
passo dal realizzarsi. (Cfr https://www.cittanuova.it/cessate-fuoco-appello-mario-primicerio-fermare-la-strage-della-guerra-ucraina/).
Prima ancora del precipitare degli eventi, nel 2018,
impegnandoci come Focolari Italia, assieme alla Fondazione La Pira, per fermare
il flusso di armi verso l’Arabia Saudita finalizzate al conflitto in Yemen, abbiamo promosso con David Sassoli un’iniziativa nella rappresentanza a
Roma del Parlamento europeo, che aveva voltato per porre fine a tale traffico,
rievocando il discorso di La Pira di abbandonare per sempre la logica di von
Clausewitz nella nostra epoca segnata dal crinale apocalittico della Storia
dove non c’è più solo il mattatoio dei pover cristi mandati al fronte, ma
l’alternativa secca tra l’autodistruzione dell’umanità o la sua rifioritura. (Cfr https://www.cittanuova.it/rosa-bianca-david-sassoli/).
(Cfr https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2018/12/20/news/yemen-dai-focolari-un-appello-contro-la-vendita-di-armi-distruggono-il-paese-1.34068336/).
Per questo da ultimo sosteniamo la proposta,
avanzata da diverse realtà autorevoli in Italia, di aprire un varco alla possibilità di avviare
una nuova Helsinki, cioè una conferenza sulla sicurezza comune in Europa nel
solco di quella promossa nel 1975 nel pieno della guerra fredda. (https://www.cittanuova.it/una-nuova-helsinki-lalternativa-alla-guerra-come-destino/).
Una tale prospettiva richiede molto studio e
approfondimento per contestare le ragioni di un riarmo di un Europa che già
spende almeno il doppio della Russia e che avvantaggia gli azionisti delle
società in competizione tra loro( grandi fondi interessati ai ritorni degli
investimenti in tempi brevi) e non la
sicurezza comune. Le armi non portano benessere come ha spiegato il governatore
della Banca D’Italia Fabio Panetta (
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2025/20250116-panetta/index.html)
e uno dei più
grandi economisti viventi come Stefano Zamagni ( https://www.cittanuova.it/le-radici-culturali-del-riarmo-dialogo-con-stefano-zamagni/).
Ma per dimostrare che esiste una reale alterativa
per dirottare l’economia verso una conversione ecologica integrale occorre
proporre un’alterativa credibile.
È ciò che prova a fare il laboratorio permanente di
riconversione economica per una politica industriale di pace che, come Economia
disarmata, abbiamo avviato assieme ad altre
realtà chiedendo il contributo di associazioni, centri di ricerca, lavoratori e
lavoratrici disposti a mettersi in gioco seriamente. Abbiamo iniziato partendo
da due luoghi emblematici come il Sulcis Iglesiente, il caso più universale
possibile e non una problematica locale, ( faremo una sessione del laboratorio
ad Iglesias il prossimo 14 novembre), e Torino, la città simbolo dell’industria
italiana ora alle prese con l’abbandono progressivo della ex Fiat e la crescita
del progetto di Leonardo ex
Finmeccanica. Cfr il sito del
laboratorio: https://www.riconversioneindustrialedipace.org/
.
Ma ogni territorio analizzato in profondità rivela
delle questioni emblematiche da analizzate mettendo in discussione le tesi del
libro verde delle politiche industriali del Ministero delle imprese: pensiamo
all’Emilia Romagna interessata con la conversione della motor valley verso il
comparto delle armi mentre Leonardo ha dismesso un grande patrimonio come la
società Industria Italiana autobus, volano per un settore di avanguardia quale
il trasporto pubblico ecologico.
Il caso della nuova Pignone dimostra l’importanza di
un intervento di politica industriale resa possibile dalla capacità della mano pubblica di
investire non in carrozzoni inutili ma in progetti elaborati dagli stessi
lavoratori.
Non ci può rassegnare dicendo che erano altri tempi, dove almeno i detentori di
capitali non si nascondevano dietro
società finanziarie senza volto. La Leonardo ha una maggioranza di capitale
pubblico che richiede una finalità sociale della sua attività : Resta sempre
valido l’invito di La Pira a non nascondersi dietro i presunti dogmi delle tesi
economiche per giustificare il ricatto occupazionale e l’economia che uccide. Occorre
come dice papa Leone non cedere alla globalizzazione dell’impotenza, l’amara
percezione di non poter incidere nella storia affidata invece ai detentori di
denaro e a chi decide le guerre.

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