domenica 9 novembre 2025

La Pira, Firenze e la rivolta contro la banalità del male

 



Trasformeranno le spade in vomeri

Disarmare l’economia per una conversione ecologica integrale

Il cammino in corso

Firenze 8 novembre 2025

Sala conferenze della società Baker Hughes già Nuova Pignone

Traccia integrale di riferimento dell’intervento di Carlo Cefaloni

"Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra." Isaia 2,3-4

 

La citazione di Isaia posta come titolo di questo nostro incontro rimanda ad una contraddizione che spesso viene associata alla figura di Giorgio La Pira per relegare questo personaggio anomalo, che si definiva “spiritualmente anarchico, soggetto solo a Dio” ad una dimensione astorica di carattere profetico che non è compatibile con il realismo politico necessario per chi è chiamato a misurarsi con i problemi concreti che richiedono anche e purtroppo di esercitarsi nell’arte della guerra imposta dalle dinamiche geopolitiche che sfuggono al nostro controllo. Mi è capitato soprattutto in ambito cattolico di ascoltare giudizi sprezzanti verso La Pira ma forse è peggio la tentazione evidente di relegarlo ad una storia innocua, da gestire in maniera agiografica mentre quando come Focolari in Italia, leggendo i segni dei tempi, abbiamo deciso di promuovere un gruppo di lavoro per cercare di condividere l’impegno per la pace assieme a papa Francesco, lo abbiamo chiamato “economia disarmata” a partire dalla consapevolezza lapiriana che “senza incidere sulle leve economiche e finanziarie non ci resta  altra magra consolazione che fare delle belle prediche” o teorie staccate dalla vita.

Anche se rimossa a lungo dal dibattito pubblico e trattata come una questione marginale  e di nicchia, esiste una questione decisiva del nostro Paese: la “guerra mondiale a pezzi”  denunciata da papa Bergoglio ha trovato l’Italia pronta tra i primi 10 produttori ed esportatori di armi ( il sesto secondo il Sipri nel periodo 200-24) in forza di precise e trasversali scelte di politica industriale

Il cammino compiuto in questi anni ci ha portato assieme a molte realtà, compresa la pastorale sociale della Chiesa, ad esempio, a sostenere l’azione dei portuali del Calp di Genova che hanno deciso di non caricare armi dirette ad un Paesi in guerra. Sono lavoratori di un sindacato non moderato e dal fare rumoroso. Ma il loro è un atto di disobbedienza che nasce dall’osservanza della legge 185 approvata nel 1990 per applicare delle regole di trasparenza alla produzione, transito e commercio di armi, vietando l’invio verso i Paesi in guerra e/o che violano i diritti umani. Il testo prevede anche la previsione di un fondo per la riconversione al civile che non è stato poi finanziato.  

Quella legge è un esempio di declinazione del ripudio della guerra contenuto nel testo della Costituzione ( articolo 11) assieme al limite della libertà dell’iniziativa economica privata (arr.41). Non è una norma scesa dall’alto ma è stato un risultato raggiunto grazie, negli anni 80, all’obiezione di coscienza dei lavoratori e lavoratrici alla produzione bellica ( in particolare nell’ Aermacchi per i caccia bombardieri destinati al Sudafrica dell’Apartheid). Sono le stesse persone, che andrebbe premiate dalla nostra Repubblica, che hanno impegnato i propri soldi, la loro liquidazione, per non far chiudere il centro di ricerca sulla riconversione economica dalla produzione bellica  promossa negli anni 90 dall’università cattolica di Milano, su iiniziata del rettore Giuseppe Lazzati ma poi non più sostenuta ( cfr https://www.riconversioneindustrialedipace.org/economia-di-pace-una-storia-da-riscoprire/ ).

Uno degli obiettivi di Economia disarmata è stata da subito la difesa e il rilancio di questa legge ( la Legge 185/90) costantemente sotto attacco e che rischia con un progetto di riforma in stato avanzato, nonostante l’appello di decine di associazioni e movimenti, di essere svuotata di efficacia mentre il caso della Rwm in Sardegna ha dimostrato che una società civile attiva e responsabile è riuscita a bloccare dal 2019 al 2023 l’invio di missili e bombe verso l’Arabia Saudita colpendo gli interessi di una multinazionale che ora è protagonista del gigantesco piano di riarmo della Germania.

È interessante notare che la resistenza esemplare e costituzionale dei lavoratori alla produzione bellica era stata vista come una prospettiva di disordine intollerabile da un padre gesuita della Civiltà Cattolica paventandone il rischio come effetto dalla proposta della legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare presentata dal socialista Umberto Calosso e dal democristiano Igino Giordani che oltre ad essere un costituente è cofondatore dei Focolari: una figura che come La Pira rischia di essere spiritualizzata e staccata dalla storia. La proposta Calosso Giordani nasceva sull’onda del caso dell’obiezione di coscienza al servizio militare di Pietro Pinna, esponente del Movimento nonviolento. Così scriveva sull’autorevolissima dei gesuiti nel febbraio 1950 padre  Antonio Messineo: «i giudici che hanno condannato il giovane Pinna a due anni di reclusione come renitente alla leva hanno compiuto il loro dovere e la Camera compirà il proprio respingendo la proposta di legge. La pericolosità del soggettivismo che con essa si vuole rendere legale si può già vedere in atto nel rifiuto degli operai di qualche industria bellica di lavorare alla produzione delle armi e nel minacciato sciopero dei portuali per non scaricare le armi inviate dall’America ai Paesi occidentali del Patto Atlantico».

Nella sua autobiografia scritta in tarda età Igino Giordani descrive con vividezza il suo rifiuto viscerale provato contro la chiamata alle armi nel primo conflitto mondiale e la decisione, una volta coscritto, di non sparare un solo colpo nonostante lo sgomento provato nel vedere i preti che benedivano le armi. Quel suo rifiuto giovanile che avrebbe potuto condurlo alla fucilazione per insubordinazione ( almeno mille soldati furono fucilati in base all’ordinanza Cadorna) lo condusse  a  presentare quella legge che gli alienò la simpatia dei suoi colleghi di partito pur essendo Giordani un esempio di antifascismo ante 1943.

In quegli stessi anni don Primo Mazzolari, sacerdote dai trascorsi interventisti, di grande autorità morale pur avendo vissuto sempre in periferia, ad un gruppo di giovani che gli chiedeva se dovessero in caso di guerra prendere le armi rispose con un  libro a lungo clandestino dal titolo inequivocabile “Tu non uccidere”.

Sono questioni che sembrano a noi lontane ma l’irrompere della guerra in Ucraina con l’invasione russa del 24 febbraio 2022 ha reso chiaro a tutti l’esito della corsa progressiva al riarmo che ha raggiunto nel 2024  la spesa annua di 2.700 miliardi di euro: dobbiamo prepararci alla guerra come dicono i vertici della Ue e trasformare l’intera economia in assetto di guerra. Il casus belli è dietro l’angolo è occorre essere pronti a combattere e non solo a inviare le armi. Finita la fase post eroica della lunga tregua siamo ora in una situazione prebellica che richiede una massiccia politica di riarmo a scopo di deterrenza come un porcospino d’acciaio per usare l’espressione della von der Leyen. Occorre decidere , come dice un Vittorio Emanuele Parsi, opinionista molto ricercato dai grandi media, “per che cosa siamo disposti a morire e quindi ad uccidere”.

Questione palesata in tutta la sua crudezza dalla tragedia della Terra Santa, di Gaza. 

Siamo davanti, volenti o meno, allo stesso dilemma posto dai giovani del 1951 a Mazzolari.

Relegare la nonviolenza ad una scelta eroica di carattere personale, vuol dire vanificare  l’impegno richiesto con forte realismo da Francesco nel suo messaggio del 2017 per una politica della nonviolenza attiva.

Per questo motivo  abbiamo cercato di dare rilievo alla proposta di Mario Primicerio, l’allievo per eccellenza di La Pira, di lavorare come Italia e come Europa, a prescindere dalla lacerazione sull’invio o meno delle armi, ad un azione per far cessare il fuoco ed evitate altro bagno di sangue secondo il modello della dilplomazia dal basso esercitata da La Pira nel 1965 in Vietnam , giunta ad un passo dal realizzarsi. (Cfr https://www.cittanuova.it/cessate-fuoco-appello-mario-primicerio-fermare-la-strage-della-guerra-ucraina/).

Prima ancora del precipitare degli eventi, nel 2018, impegnandoci come Focolari Italia, assieme alla Fondazione La Pira, per fermare il flusso di armi verso l’Arabia Saudita finalizzate al conflitto in Yemen,  abbiamo promosso con David  Sassoli un’iniziativa nella rappresentanza a Roma del Parlamento europeo, che aveva voltato per porre fine a tale traffico, rievocando il discorso di La Pira di abbandonare per sempre la logica di von Clausewitz nella nostra epoca segnata dal crinale apocalittico della Storia dove non c’è più solo il mattatoio dei pover cristi mandati al fronte, ma l’alternativa secca tra l’autodistruzione dell’umanità o la sua rifioritura. (Cfr  https://www.cittanuova.it/rosa-bianca-david-sassoli/). (Cfr https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2018/12/20/news/yemen-dai-focolari-un-appello-contro-la-vendita-di-armi-distruggono-il-paese-1.34068336/).

Per questo da ultimo sosteniamo la proposta, avanzata da diverse realtà autorevoli in Italia,  di aprire un varco alla possibilità di avviare una nuova Helsinki, cioè una conferenza sulla sicurezza comune in Europa nel solco di quella promossa nel 1975 nel pieno della guerra fredda. (https://www.cittanuova.it/una-nuova-helsinki-lalternativa-alla-guerra-come-destino/).

Una tale prospettiva richiede molto studio e approfondimento per contestare le ragioni di un riarmo di un Europa che già spende almeno il doppio della Russia e che avvantaggia gli azionisti delle società in competizione tra loro( grandi fondi interessati ai ritorni degli investimenti  in tempi brevi) e non la sicurezza comune. Le armi non portano benessere come ha spiegato il governatore della Banca D’Italia Fabio Panetta ( https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2025/20250116-panetta/index.html)

e  uno dei più grandi economisti viventi come Stefano Zamagni (  https://www.cittanuova.it/le-radici-culturali-del-riarmo-dialogo-con-stefano-zamagni/).

Ma per dimostrare che esiste una reale alterativa per dirottare l’economia verso una conversione ecologica integrale occorre proporre un’alterativa credibile.

È ciò che prova a fare il laboratorio permanente di riconversione economica per una politica industriale di pace che, come Economia disarmata,  abbiamo avviato assieme ad altre realtà chiedendo il contributo di associazioni, centri di ricerca, lavoratori e lavoratrici disposti a mettersi in gioco seriamente. Abbiamo iniziato partendo da due luoghi emblematici come il Sulcis Iglesiente, il caso più universale possibile e non una problematica locale, ( faremo una sessione del laboratorio ad Iglesias il prossimo 14 novembre), e Torino, la città simbolo dell’industria italiana ora alle prese con l’abbandono progressivo della ex Fiat e la crescita del progetto di  Leonardo ex Finmeccanica.  Cfr il sito del laboratorio: https://www.riconversioneindustrialedipace.org/ .

Ma ogni territorio analizzato in profondità rivela delle questioni emblematiche da analizzate mettendo in discussione le tesi del libro verde delle politiche industriali del Ministero delle imprese: pensiamo all’Emilia Romagna interessata con la conversione della motor valley verso il comparto delle armi mentre Leonardo ha dismesso un grande patrimonio come la società Industria Italiana autobus, volano per un settore di avanguardia quale il trasporto pubblico ecologico.

Il caso della nuova Pignone dimostra l’importanza di un intervento di politica industriale resa possibile  dalla capacità della mano pubblica di investire non in carrozzoni inutili ma in progetti elaborati dagli stessi lavoratori.

Non ci può rassegnare dicendo che  erano altri tempi, dove almeno i detentori di capitali  non si nascondevano dietro società finanziarie senza volto. La Leonardo ha una maggioranza di capitale pubblico che richiede una finalità sociale della sua attività : Resta sempre valido l’invito di La Pira a non nascondersi dietro i presunti dogmi delle tesi economiche per giustificare il ricatto occupazionale e l’economia che uccide. Occorre come dice papa Leone non cedere alla globalizzazione dell’impotenza, l’amara percezione di non poter incidere nella storia affidata invece ai detentori di denaro e a chi decide le guerre.

domenica 26 ottobre 2025

La guerra che viene e le domande che non si possono evitare

 



La festività di san Francesco d’Assisi che cade, in questo 2005, in un periodo segnato da scenari di guerra che lasciano sgomenti e senza parole, tanto che è forte la tentazione di rimuovere lo scandalo di ciò che accade dalla vista del nostro sguardo o di rifugiarsi in una dimensione interiore cavandosela con il ricorso a frasi sulla pace interiore e familiare e così via. Affermazioni ovvie che non possono esimerci nell’affrontare le contraddizioni del nostro tempo per cercare di uscirne fuori assieme, senza illuderci di cavarcela da soli.

Come diceva negli anni 30 Joseph Mayr Nusser, esponente dell’Azione cattolica del Sud Tirolo, davanti alla mancanza di reazione di fronte all’affermarsi culturale del nazismo, «mentre le fiamme accerchiano la casa, molti cattolici, spesso buoni e ferventi, impegnano tutto il loro zelo alla cura delle rose in giardino». Nusser, alla fine, morirà nel 1945 a causa del suo rifiuto del  giuramento dovuto a Hitler[1]

Come ha detto papa Leone XIV rivolgendosi agli abitanti di Lampedusa lo scorso 12 settembre 2025, «la globalizzazione dell’indifferenza, che papa Francesco denunciò proprio a partire da Lampedusa, sembra oggi essersi mutata in una globalizzazione dell’impotenza. Davanti all’ingiustizia e al dolore innocente siamo più consapevoli, ma rischiamo di stare fermi, silenziosi e tristi, vinti dalla sensazione che non ci sia niente da fare. Cosa posso fare io, davanti a mali così grandi? La globalizzazione dell’impotenza è figlia di una menzogna: che la storia sia sempre andata così, che la storia sia scritta dai vincitori. Allora sembra che noi non possiamo nulla. Invece no: la storia è devastata dai prepotenti, ma è salvata dagli umili, dai giusti, dai martiri, nei quali il bene risplende e l’autentica umanità resiste e si rinnova»[2].

Recentemente  sono stato ad un incontro promosso da Amu, una ong promossa dal Movimento dei Focolari nel campo della cooperazione internazionale, per far conoscere la capacità di resistenza del popolo martoriato della Siria. Un territorio legato strettamente alla nostra storia e a noi molto vicino, straziato da strategie geopolitiche delle grandi potenze che hanno portato a milioni di sfollati interni e altrettanti all’estero, trattenuti con la forza in Turchia in base ad accordi miliardari con l’Unione europea. Come sappiamo molti di loro sono riusciti comunque a sfuggire avventurandosi sulla Rotta balcanica fino ai confini della Fortezza Europa, dove è difficile e pericoloso passare,  oppure prendendo il mare esponendosi al rischio dei naufragi e inabissamenti come ci testimonia l’immagine del piccolo Alan Kurdi di tre anni ritrovato inerte su una spiaggia come se dormisse.  

Il nostro lago di pace , lago di Tiberiade come Giorgio La Pira chiamava il Mediterraneo, si è trasformato in un cimitero di persone migranti grazie alla divisione dei Paesi europei incapaci di rispondere ad una sfida epocale destinata a durare nel tempo.

Questi amici dell’Amu – Azione Mondo unito [3]-  hanno narrato cosa vuol dire trovarsi in mezzo ad una guerra che dissemina strumenti di morte sul terreno e distrugge antiche città come Aleppo, tra le più antiche al mondo, e cercare di costruire rapporti di fraternità e dialogo con tutti. Sono riusciti in questi anni, a partire dal 2012, a  mantenenere aperte le scuole e i centri per i disabili pur con le ristrettezze delle sanzioni occidentali che non permettono di far arrivare i soldi necessari per i beni essenziali come il cibo e le medicine. Parliamo di realtà che hanno resistito a 13 anni di una tragedia senza fine e ora si affacciano ad un nuovo scenario politico, con la caduta del regime di Assad nel dicembre 2024, sempre incerto in quel decisivo quadrante Medio orientale. Lo fanno con persone decise a restare sul territorio promuovendo la cittadinanza attiva in vista di una partecipazione politica possibile pur tra mille incertezze.

Chi come me cerca di fare il giornalista sa che, come si dice, “la carta costa” e non serve a nulla avere i migliori strumenti di comunicazione se, in fondo,non si ha nulla da dire. O, peggio, si contribuisce alla confusione del flusso continuo di notizie, senza poter offrire una chiave credibile di lettura e soprattutto senza dare spazio a “chi non ha voce”.

Penso alle miriadi di associazioni legate all’associazione per la pace in Medio Oriente[4] dove palestinesi ed ebrei israeliani rifiutano la logica della vendetta e del rancore per costruire rapporti fraterni di pace come abbiamo visto nell’abbraccio con papa Francesco durante l’Arena di pace di Verona[5] nel 2024 con l'israeliano Maoz Inon e il palestinese Aziz Sarah, entrambi vittime del conflitto che si trascina senza fine in Terra Santa.

Ma, attenzione, non si tratta solo di raccontare storie alternative, belle e consolanti, quanto di far emergere le concrete proposte politiche che arrivano da tali realtà che vanno ascoltate e prese sul serio sui tavoli internazionali dove sembrano  che hanno voce solo i macellai dei popoli.

È necessario dare spazio e far crescere l’insorgenza di umanità che abbiamo visto fiorire in questi giorni con le manifestazioni a sostegno della Global Sumud Flotilla  davanti alla carneficina in corso a Gaza dopo l’eccidio del 7 ottobre 2023. Una tragedia che ha reso evidente il nodo di una questione  irrisolta davanti al quale non possiamo ritenerci di essere innocenti.

Come italiano non posso ignorare che la guerra mondiale a pezzi denunciata da papa Francesco nell’incredulità iniziale di molti ha trovato il mio Paese tra i primi dieci stati esportatori di sistemi d’arma su scala planetaria. Non è avvenuto per caso. È il frutto di  una scelta politica trasversale che ha dismesso pezzi importanti dell’economia civile d’avanguardia per concentrarsi sulla filiera bellica che abbiamo tollerato anche con la presenza di multinazionali straniere sul nostro territorio.

Il caso più eclatante è la presenza di una fabbrica di missili e bombe in Sardegna controllata dal colosso industriale tedesco Rheinmetall che ora è la protagonista del riarmo della Germania, ma che già da anni dal nostro Sulcis Iglesiente, una provincia impoverita dalla crisi mineraria del carbone, invia strumenti di morte all’Arabia Saudita che li utilizza nel conflitto in Yemen.

Di fronte a tale ricatto occupazionale, tra il  lavoro delle armi e la miseria, c’è chi si è ribellato promuovendo un comitato per la riconversione dell’economia che vede la partecipazione attiva di molte persone del Movimento dei Focolari in un percorso nonviolento e propositivo che abbiamo sostenuto fin dall’inizio con Città Nuova.

Una mobilitazione del coscienze testimoniate da tante storie di persone e famiglie che non riescono  a restare indifferenti, pena il vanificare di ogni trasmissione dei valori che contano ai propri figli. «Come potevamo guardarli in faccia accettando di restare inerti di fronte alla produzione e all’invio di missili e bombe destinati a creare lutti e violenze in altre   regioni della Terra? Proprio noi che fin da piccoli abbiamo sperimentato in tanti incontro con persone di ogni latitudine la bellezza della fraternità  e dell’unità della famiglia umana?».

Questo impegno ha prodotto, grazie ad alleanze sul piano nazionale e internazionale, in particolare con associazioni e chiese tedesche, il blocco di tali armi da parte dell’Italia a partire dal 2019 in forza dell’applicazione della legge 185 del 1990 introdotta grazie alla società civile responsabile e alla testimonianza dei lavoratori e lavoratrici che hanno fatto negli anni Ottanta obiezione di coscienza alla produzione bellica: una legge che non abolisce la produzione di armi ma, in linea con la Costituzione, pone dei limiti al trasferimento verso Paesi che violano i diritti umani e/o sono coinvolti in conflitti estranei alle condizioni poste dall’Onu sull’uso della forza.

Questo stop è durato fino al 31 maggio 2023 quando il decreto governativo sul Made in Italy ha rimosso il divieto per “l’attenuarsi del rischio”  dell’uso delle bombe sulla popolazione civile.

Ora lo stabilimento della società controllato dalla Rheinmetall vuole espandersi e aumentare la produzione nonostante i vincoli ambientali del territorio sotto l’incalzare del piano di riarmo europeo e la pressione della promessa di nuovi posti di lavoro assicurati dalla produzione di armi.

Nel frattempo, il comitato riconversione ha promosso la creazione di una di imprese War Free[6], cioè libere dalla filiera della guerra per una conversione ecologica integrale . Un esempio concreto di politica economica e industriale che il Pnrr dovrebbe seguire anche perché è ampiamente discutibile ed erroneo l’effetto moltiplicatore di occupazione e ricerca tecnologica legato al comparto delle armi. È dimostrato il contrario con equivalenti impegni nella filiera verde[7].

Il nostro impegno per la pace, infatti, come diceva Giorgio La Pira, si ferma alla magra potestà delle prediche se non è capace di incidere sulle scelte strutturali economiche e finanziarie.

Un caso eclatante è stato di recente la cessione da parte di Leonardo, società sotto controllo pubblico impegnata sempre di più nel settore armi, dell’Industria Italiana autobus[8] ad una società in attesa di capitali cinesi, mentre proprio il comparto del trasporto pubblico verde è uno dei settori emergenti nella transizione ecologica non più rimandabile.

Già negli anni 80 i lavoratori obiettori di coscienza alla produzione militare proponevano  ad esempio per l’Aermacchi «una piattaforma rivendicativa aziendale che contiene, accanto alle tradizionali richieste su salario, organizzazione del lavoro e inquadramento, orario, salute dei lavoratori e sicurezza sul lavoro, ecologia e ambiente, diritti e pari opportunità, informazioni sui carichi di lavoro, anche due richieste innovative sul controllo della esportazioni di prodotti aziendali e sulla diversificazione/riconversione produttiva al civile».

Ho conosciuto e scritto di alcuni di loro come Elio Pagani e Marco Tamborini che con il loro impegno diretto che li ha esposti assieme alle famiglie a ritorsioni e sanzioni, hanno permesso di arrivare alla legge 185 del 1990.

Hanno creduto così tanto alla possibilità di una conversione economica contenuta nella previsione della stessa legge da contribuire con i loro risparmi, addirittura i regali di nozze come ho saputo indirettamente, al centro studi per la riconversione produttiva promosso dall’Università cattolica dall’allora rettore Giuseppe Lazzati ma poi progressivamente definanziato fino ad estinguersi nonostante il sacrificio dei lavoratori[9].

Lo stesso movimento della coscienza è quello che ha portato i portuali del Calp di Genova a rifiutare di caricare armi sulle navi dirette in zone di guerra esponendosi a ritorsioni varie tra cui l’accisa in sede penale, con tanto di irruzione della polizia nelle loro case con grande spavento dei familiari. A questi lavoratori ha detto di fare riferimento come esempio da seguire papa Francesco durante il viaggio di ritorno da Hiroshima[10]. Concretamente, poi,  il 2 aprile 2022 siamo andati in piazza  a Genova con la pastorale sociale nazionale e il vescovo di Genova per esprimere solidarietà ai portuali e sostenere l’istanza che pone un divieto di circolazione di armi in  quel porto. Altre tappe dell’iniziativa Fari di pace è stata portata avanti, sempre con il sostegno delle diocesi, a Napoli, Bari e Trieste[11].

Ma è chiaro che per incidere realmente occorre mettere in discussione l’intero sistema della cultura che prepara la guerra e, quindi, non sfuggire la questione dell’obiezione di  coscienza da opporre verso la trasformazione dell’economia in assetto di guerra cedendo al fatalismo della cosiddetta Trappola di Tucidide secondo cui, nella visione di alcuni think tank, nell’inevitabile scontro tra potenze crescenti e in declino, a noi non resta altro che schierarci e preparaci al peggio.

Senza, cioè, immaginare un ruolo europeo attivo di ricerca della pace e della sicurezza comune nello spirito della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa che si è svolta nel 1975 ad Helsinki nel pieno della Guerra fredda. A questa Helsinki 2 sta lavorando un pezzo della società civile[12] proprio per immaginare e proporre un’altra visione del mondo che metta in cisi i l falso mito della deterrenza nucleare non più sostenibile oggi che la Federazione degli Scienziati Americani ci avvisa che siamo a pochi secondi dalla mezzanotte nucleare[13].

Su questa linea stiamo lavorando come Movimento dei Focolari i Italia ad un “Laboratorio permanente per una politica economica di pace”[14] in grado di mostrare l’alterativa credibile alla corsa al riamo destinato a bruciare sempre più risorse destinate alla cura di troppe piaghe e ingiustizie nel mondo.

Alla fine, occorre rispondere alle stesse domande poste da alcuni giovani che avevano fatto la Resistenza a don Primo Mazzolari nel 1951 davanti alla prospettiva di una nuova guerra: «dobbiamo prendere le armi? Contro chi? Dobbiamo scegliere di uccidere ed essere uccisi rispondendo agli ordini di quella che si pone come autorità legittima?»

Mazzolari, parroco di periferia, lontano dai centri di potere economico e intellettuale,  scrisse una risposta destinata a diventare  un libro a lungo censurato che si intitola con semplicità evangelica: “Tu non uccidere”.

Sta a noi decidere come rispondere oggi. 

 

Testo intervento al Dialogo con i costruttori di pace 

Repubblica di San Marino 4 ottobre 2025

 


 



[1] https://www.josef-mayr-nusser.it/it/

[2] https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2025/09/12/0637/01125.html

[3] https://www.amu-it.eu/chi-siamo/

[4] https://www.allmep.org/

[5] https://www.arenadipace.it/it

[6] https://www.warfree.net/

[7] Dossier Più armi più lavoro? Una falsa tesi https://www.archiviodisarmo.it/view/dVczbXF1bmNjVXpoUlJLU2RzKzBiZz09OjqZjDp-WT83SxtGit6gI_9Y/supplemento-giugno-2024.pdf

[8] https://www.archiviodisarmo.it/view/dVczbXF1bmNjVXpoUlJLU2RzKzBiZz09OjqZjDp-WT83SxtGit6gI_9Y/supplemento-giugno-2024.pdf

[9] https://www.https://www.archiviodisarmo.it/view/dVczbXF1bmNjVXpoUlJLU2RzKzBiZz09OjqZjDp-WT83SxtGit6gI_9Y/supplemento-giugno-2024.pdfstartmag.it/economia/leonardo-invitalia-pd-industria-italiana-autobus-seri/

[10] https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/november/documents/papa-francesco_20191126_voloritorno-giappone.pdf

[11] https://www.cittanuova.it/non-nel-mio-nome-dai-lavoratori-la-spinta-alla-coscienza-che-ripudia-la-guerra/

[12] https://www.fondazionebasso.it/2015/30-ix-2025-9h00-a-50-anni-dalla-conferenza-di-helsinki-perseguire-la-pace-attraverso-la-politica/

[13] https://retepacedisarmo.org/disarmo-nucleare/2025/orologio-dellapocalisse-89-secondi-alla-mezzanotte-mai-cosi-vicini-alla-fine-del-mondo-italia-ripensaci-si-riparta-dal-trattato-sulla-proibizione-delle-armi-nucleari/

https://www.riconversioneindustrialedipace.org/[14]

sabato 12 luglio 2025

Francesca Albanese, l'Onu e tutti noi

Francesca Albanese, dal 2022 relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, ha consegnato il primo luglio 2025 un rapporto clamoroso dal titolo lungo ma molto chiaro: Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio: i profitti multimiliardari incassati da aziende di tutto il globo nel sostenere e mantenere il progetto di colonialismo d’insediamento israeliano.

Il lavoro della giurista italiana è una risposta di fatto a coloro che parlano della crisi dell’Onu a 80 anni dalla sua fondazione. Non esiste altro luogo al mondo in cui è possibile portare alla ribalta la questione dei diritti umani con la sola forza della ragione e dei fatti.

Francesca Albanese, EPA/Ida Marie Odgaard DENMARK OUT


Il documento è accessibile in lingua inglese sul sito dell’Onu (qui il link per scaricarlo) e si presta ad una lettura ormai possibile nelle diverse lingue grazie ai sistemi diffusi di traduzione on line. È certo che un testo del genere, capace di entrare nel merito della complicità diffusa, non solo del sistema economico, con la tragedia in corso in Palestina sia destinato a creare più problemi del precedete rapporto prodotto dalla Albanese nel marzo 2024 intitolato Anatomia di un genocidio, a proposito della situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967.

Una vasta campagna di sostegno alla Albanese è stata promossa nel 2023 da Amnesty international per rispondere alla richiesta di rimozione dall’incarico avanzata dall’ex ambasciatore e già ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi di Sant’Agata (attuale senatore di Fratelli d’Italia) e dal ministro israeliano per la diaspora Amichai Chikli.

Ma lo sfavore verso la relatrice dell’Onu è stato palese ad esempio già nel luglio 2022, cioè prima della catastrofe emersa con l’eccidio del 7 ottobre 2023, durante l’audizione di Albanese presso la commissione esteri della Camera dei deputati, in particolare da parte del presidente della stessa commissione, l’esponente dem Piero Fassino.

Albanese non ha mai smesso di invitare la comunità internazionale a «prevenire e proteggere le popolazioni dai crimini atroci» e a far valere «le responsabilità per i crimini internazionali commessi dalle forze di occupazione israeliane e da Hamas».

Nel rapporto del luglio 2025 sono prese in esame circa un migliaio di imprese, ma per il momento se ne citano solo 48 tra le più grandi, informate, tra l’altro, dell’indagine in corso da parte dell’Onu. Vi compare l’italiana Leonardo, assieme a Google, Amazon, Hp, Microsoft, Ibm, BlackRock, Chevron, Caterpillar, Volvo, Hyundai, Lockheed Martin, Airbnb e Booking.com, oltre a quelle israeliane direttamente interessate come l’industria di armi Elbit, la gestrice delle fonti idriche Mekorot e la produttrice di spyware Nso.

I rischi del rapporto Onu per le grandi corporation non sono solo eventuali danni di immagine e di reputazione, ma di diretta responsabilità penale e civile. Come afferma il rapporto nella traduzione offerta sul sito La Via libera, «laddove le entità aziendali continuino le loro attività e relazioni con Israele – con la sua economia, le sue forze armate e i settori pubblico e privato collegati al territorio palestinese occupato – si può ritenere che abbiano consapevolmente contribuito a: violazione del diritto palestinese all’autodeterminazione; annessione di territorio palestinese, mantenimento di un’occupazione illegale…; crimini di apartheid e genocidio… Sia le leggi penali che quelle civili in diverse giurisdizioni possono essere invocate per ritenere le entità aziendali o i loro dirigenti responsabili di violazioni dei diritti umani e/o crimini di diritto internazionale».

Sul piano degli armamenti il rapporto di Albanese afferma che lo Stato «beneficia del più grande programma di approvvigionamento della difesa mai realizzato – per il jet da combattimento F-35, guidato dalla Lockheed Martin con sede negli Stati Uniti, insieme ad almeno 1.650 altre aziende, incluso il produttore italiano Leonardo». Tale  “potere aereo senza precedenti” avrebbe  permesso di  sganciare circa  85 mila tonnellate di bombe provocando la morte o il ferimento di oltre 179mila palestinesi. Ma oltre le armi sembra esistere, ad esempio, la collaborazione nella distruzione degli insediamenti palestinesi con la fornitura di macchinari pesanti da parte di società afferenti a capitali pubblici e privati di numerosi Paesi.

Secondo il rapporto, la crescita della spesa in armi da parte del governo Netanyahu è stata possibile, inoltre, grazie all’acquisto dei titoli del tesoro israeliani da parte di istituti finanziari tra i più grandi al mondo (Bnp Paribas, Barclays, Blackrock, Vanguard,…).

Insomma un rapporto dal contenuto esplosivo anche se in gran parte conosciuto dal mondo dell’economia e della finanza. L’intento di Albanese è quello di chiedere alle autorità statali e sovranazionali di sospendere gli accordi commerciali legati alle filiere esposte nel rapporto, a cominciare da quella delle armi. Scelta sostenuta dal governo spagnolo guidato da Pedro Sanchez, ma non dagli altri Paesi dell’Unione europea, in particolare non dall’Italia.

Oltre alle relazioni ufficiali, Francesca Albanese sa che uno dei fattori determinanti nell’orientare l’opinione pubblica resta il fattore narrativo che permette di entrare nella vita delle persone in carne e ossa, oltre i numeri dei rapporti ufficiali. La giurista italiana ha perciò pubblicato recentemente con Rizzoli il libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestinaun volume di racconti legati alla sua attività di relatrice speciale dell’Onu che il rapporto appena consegnato rende, di sicuro, sempre più instabile per la decisione di denunciare la responsabilità estesa e condivisa su quanto avviene in quella terra contesa.

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