«Ho fatto l'inchiesta Mani Pulite con cui si è
distrutto tutto ciò che era la cosiddetta Prima Repubblica: il male, che era la
corruzione e ce n'era tanta, ma anche le idee». Negli studi televisivi de La 7
è arrivata nell’estate 2017 la rivelazione inaspettata di Antonio Di Pietro, il
magistrato che, nel 1992, incuteva paura e ammirazione. Il giudice, di
estrazione contadina, incarnava l’attesa di una svolta decisiva per la società
italiana, ma, dopo le sue misteriose dimissioni dalla toga, ha assunto incarichi
ministeriali e fondato un partito dal percorso breve e controverso, pur avendo
raggiunto il 4% dei voti. Con una sincerità che attribuisce all’avanzare
dell’età, Di Pietro riconosce di aver costruito una politica basata «sulla
paura che chi non la pensava come me era un delinquente. Oggi mi rendo conto
che bisogna rispettare anche le idee degli altri» anche perché «purtroppo da
quell'inchiesta si è creato un vuoto, non solo un vuoto di figure politiche, ma
dell'idea stessa della ricostruzione della politica. L'inchiesta era doverosa,
ma chi voleva fare o restare in politica doveva costruire una idea politica.
Invece si è cercato il consenso sul piano individuale, sul personalismo».
Tale disorientamento è testimoniato dal crescente
astensionismo elettorale di “un’Italia sottosopra” come la definisce una
ricerca presentata da Marco Valbruzzi, politologo dell'Università di Bologna e
dell'Istituto Cattaneo, al Centro culturale Francesco Luigi Ferrari di Modena.
Parliamo di un luogo di cultura politica
che porta il nome di un giovane
esponente dei primi democratici cristiani, morto in esilio nel 1933 in Francia
da antifascista e oppositore dei Patti Lateranensi. Per il centro Ferrari, la
preoccupante fragilità del quadro politico nazionale dovrebbe interpellare
tutti ma è, di fatto, «rimossa dal dibattito politico-mediatico». L’ingegneria
dei sistemi elettorali troverà, forse, un modo per evitare il caos della
mancanza di vincitori alle elezioni nazionali del 2018, ma siamo lontani da quelle
regole condivise che sono alla base di una solida democrazia.
In una lettera scritta ad Avvenire, il vescovo emerito
di Prato, Gastone Simoni, auspica “qualcosa di nuovo” capace di rivolgersi a
quei cristiani che «alle varie tornate elettorali non sanno
cosa fare perché non vedono un soggetto politico davvero credibile del tutto».
Uno smarrimento, si può notare, che attraversa anche l’area degli elettori che
si riconosceva nell’altra “chiesa”,
quella del Pci.
Nella risposta all’anziano presule, il direttore di
Avvenire, Marco Tarquinio dichiara improbabile la nascita di un «soggetto
politico unitario di ispirazione cristiana», ma si dice «convinto che “qualcosa
di nuovo” potrà essere possibile solo con il passo indietro o almeno di lato di
quanti, pur dichiarandosi “cristiani”, sono stati sinora e ancora stanno sulla
scena politica con piglio e attese “poltroniste” da feudatari». Alla
stoccata di Tarquinio si può aggiungere quel presenzialismo delle gerarchie
ecclesiastiche, , prima dell’arrivo di papa Francesco, che si è rivelato funzionale
ad un certo laicismo che preferisce trattare con i “preti” piuttosto che con i “cattolici
adulti”. Un tentativo fallito di costruire dall’alto una formazione politica si
è avuta nel 2013 con la nascita di Scelta civica con la confluenza di componenti
tecnocratiche (Monti e Montezemolo su tutti) ed esponenti cattolici (Riccardi,
Bonanni, Olivero, ecc.).
Formalmente, di cattolici al governo non ne sono
mancati, da Letta formatosi nell’Arel di Andreatta al boy scout Renzi, così
come il centro destra suscita grandi adesioni tra i credenti, Berlusconi ha
ricevuto consensi da “nuovo uomo della Provvidenza” mentre Salvini difende il
presepe, e tra coloro che hanno scoperto la militanza politica nel M5S si
trovano numerosi cattolici, si definisce tale il neo candidato premier Di Maio.
La questione che resta in sospeso riguarda la capacità di declinare e proporre
una visione personalista aperta a tutti così come fece quella minoranza di
cattolici democratici con il Codice di Camaldoli nel 1944 che è la base della
laica Costituzione repubblicana. Ma, con le sue ricchezze e
tragedie, la Dc (capace di contenere per forza da La Pira a Ciancimino) è
oggetto di studio per gli storici. L’attesa di «qualcosa di nuovo»
resta nell’aria. Quali sono le idee portanti? Pur con tutto il limite che
accompagna l’impegno politico, si può tenere assieme il contrasto all’utero in
affitto e l’accoglienza ai migranti? La centralità della famiglia con il
ripudio della guerra? La ricerca della giustizia sociale e la non
mercificazione della vita? Esiste uno spazio dove non si costretti a scegliere
tra valori imposti da partiti che, tra l’altro, sono sempre più in difficoltà
di consensi? Al di là delle formule, il discorso da aprire è quello sui contenuti
prima ancora del contenitore.
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