Domande e risposte dall'Extra di Città Nuova sulla politica della nonviolenza attiva
Come affermano gli storici, l’invocazione di Benedetto XV del 1917 intesa a fermare l’inutile strage era rivolta ai governanti del tempo senza sciogliere dall’obbedienza verso le autorità legittime i cristiani del tempo, generando gravi conflitti interiori come avvenuto ancor di più durante il fascismo. Oggi l’appello alla coscienza per l’esercizio della nonviolenza non dovrebbe comportare la disobbedienza verso la guerra come quella del 2003 in Iraq, del 2011 in Libia e le prossime avventure possibili in Medio Oriente? L’appello alla nonviolenza non mette in crisi anche la concessione delle basi Usa in Italia direttamente coinvolte con le strategie di guerra nel mondo come i bombardamenti sulla Siria?
Risponde così il filosofo Roberto Mancini
Oggi la scelta della nonviolenza comporta a mio avviso l’obiezione di coscienza verso le imprese belliche - ipocritamente chiamate “missioni di pace” - sia nel Medio-Oriente che in Afghanistan.
In ogni caso è un’obiezione contro la prassi
dei bombardamenti, dell’attività dell’industria bellica e della politiche di
potenza. La scelta della nonviolenza deve contribuire alla rigenerazione
dell’ONU e delle istituzioni democratiche internazionali che solo, semmai,
avranno l’autorità e la responsabilità di frapporsi tra i carnefici organizzati
in milizie e le popolazioni che sono loro vittime.
La guerra e anche il
terrorismo, in realtà, sono vere e proprie “istituzioni” preparate da tanti
apporti: tipi di politica, interessi economici, industria bellica, ideologie.
Affrontare questa complessità subito e solo nei termini della casistica che
stabilisce quando si spara e quando no è un approccio astratto e pericoloso;
piuttosto bisogna disinnescare e bonificare tutte queste varie cause. La
nonviolenza è azione articolata, interposizione, prevenzione, educazione, stile
di vita. Ed è intelligenza reale delle situazioni.
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