Romanista
ebreo” è usato abitualmente come insulto, a Roma, tra i tifosi. Così l’uso
dell’assonanza con i “rom”, i “nomadi”, che rappresentano, nella stessa
concezione del mondo, l’insieme di ciò che è più detestabile.
Le immagini che
raffigurano il volto sorridente della giovane Anna Frank, icona dell’Olocausto,
con la maglietta della squadra di calcio capitolina, circolano da molto tempo e
non ci si può illudere di affrontare il caso criminalizzando solo alcuni giovanissimi
ultras.
Il
ritrovamento di questi cimeli nella curva Sud (spazio dello Stadio olimpico
assegnato convenzionalmente ai colori giallorossi) dopo un passaggio dei tifosi
laziali assomiglia alla scoperta dell’acqua calda. Nel film “La scuola” (1995)
di Daniele Lucchetti, il professore interpretato da Silvio Orlando si adira con
i suoi studenti per la scritta “romanista ebreo” ritrovata in classe. Uno
studente si pente e scusandosi gli dice: «mi dispiace professore, non sapevo
che fosse romanista».
Espressioni
considerate goliardiche come molte delle parole innominabili che invitano a
bruciare le città avversarie. Valvole di sfogo da sempre utilizzate e perciò
tollerate dai poteri prevalenti per rimuovere l’attenzione dai veri problemi.
La novità,
tuttavia, a Roma è che questa tradizionale divisione politica di memorie
ducesche tra le due parti della città non esiste da tempo. Anche nella curva
giallorossa si sente l’egemonia culturale dei gruppi di una certa destra
estrema, presente da sempre non solo nei quartieri “bene” della metropoli ma
anche nelle borgate popolari. Un solco segnato da gravi episodi di cronaca al
tempo del terrorismo, ma vivi nel ricordo delle varie comunità urbane che
celebrano i riti in memoria dei loro caduti. I gesti di riparazione vanno curati
bene, non come ha fatto il presidente della Lazio, Lo Tito, che è andato a
portare una corona di fiori vicino la sinagoga di Roma, senza attendere i tempi
dei rappresentanti della comunità ebraiche tra le più antiche del mondo. Serve
a poco anche cedere ai dettami della società dello spettacolo con copie del
diario di Anna regalate come gadget. I libri vanno letti assieme e ad alta
voce.
Bisogna,
invece, sapersi porre delle domande sulla memoria condivisa di una Nazione che nel 1938 introdusse le leggi
razziali con il discorso pronunciato da Mussolini a Trieste. La stessa città
dove, 20 anni prima, sul molo audace
sbarcarono le truppe italiane ribaltando la sconfitta di Caporetto al termine
del massacro della Grande Guerra. Un orrendo mattatoio rivendicato proprio da chi,
organizzando la marcia su Roma del 1922, si presentò al re Vittorio compiacente
come rappresentante autentico dell’”Italia di Vittorio Veneto”.
A chi
scrive, tifoso critico verso il calcio mercificato, quell’icona della giovane ebrea
tedesca con la maglia giallorossa piace molto come parte di un quadro di
famiglia.
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